Un amore «normale». Cosa significhi poi è assai arduo stabilirlo. Serate davanti alla serie tv preferite, scambiarsi gli occhiali a letto, sorridere complici sull’inevitabile invecchiare, decidere il week end nel convento del Trecento, regalarsi un pranzetto sulla spiaggia al mare vicino Roma: è questa la normalità? Per qualcuno forse, per la coppia protagonista di Io e lei senz’altro. Sono insieme da cinque anni, si amano tranquillamente, non hanno problemi economici anzi, tra la ristorazione trendy-bio e lo studio di architettura gli affari vanno benissimo, vivono in un magnifico appartamento sui tetti della capitale con cameriere filippino (gay) e un gattone tigrato. Ma tra loro qualcosa comincia a incasinarsi e anche Io e lei, il nuovo film di Maria Sole Tognazzi, dopo il bel Viaggio sola, nonostante le molte buone intenzioni che lo supportano prima tra tutte l’idea di raccontare una relazione omosessuale fuori dalle convenzioni «eccentriche» diffuse. Sarà forse perché nel sentire comune si pensa che le coppie lesbiche o gay siano scalmanati assatanati frequentatori di locali per scambisti (strapieni di etero), ululanti tra mossette e en travesti? Eppure persino la fiction televisiva nostrana e manco troppo alternativa si è conformata mostrandoci coppie gay come tante altre – anzi il mito della pantofola gay è una delle cose su cui ironizzano di più le generazioni omosessuali con nostalgia per i tempi di rivolta.

 

 

 

Ma torniamo alla coppia protagonista, Marina (Ferilli) attrice da ragazza in film italiani di serie b che la resero star per tanti cinefili del genere, oggi ristoratrice di successo, e Federica (Buy) sposata per decenni a un dentista buzzurro, un figlio ventenne, e l’ex ora nuovamente maritato alla ragazzetta di turno (e padre vecchio con la nuova famiglia). Ma se Marina la sua sessualità la rivendica seppure con discrezione – in famiglia, pubblicamente, ammettendo che da attrice le ha creato talvolta reazioni di irrigidimento – Federica piena di nevrosi ancora si imbarazza, fa fatica a accettare una relazione lesbica lei che «lesbica» non si sente. E così il gender, nonostante tutto, finisce per essere il punto di partenza e la sola ragione nel racconto di questa «coppia-come-tante». Marina e Federica non cominciano a allontanarsi per noia, per abitudine, perché dopo tanto tempo non c’è più voglia di fare l’amore condizione comunissima (e al di là di ogni genere) anche nelle storie di più esibita felicità. Il loro è un problema di ruoli, di scelte rispetto al mondo, di voglia di «essere come tutti» – per Federica – laddove questo significa un amante uomo, ecc.

 

 

Da qui il limite del film, ingabbiato in una sceneggiatura (scritta da Tognazzi insieme a Francesca Marciano e Ivan Cotroneo) piena di ammiccamenti alla commedia, con scaramucce da casa Vianello, rapporti di classe – Marina «borgatara», Federica alto borghese, e tutti gli altri personaggi, i maschi specialmente un concentrato delle umane (italiche?) mediocrità (cioè per amare una donna non si deve per forza avere avuto un marito idiota che farebbe passare la voglia solo a vederlo).

 

 

 

Qualcuno ha parlato della Vita di Adele, anche lì avevamo una lesbica borghese e convinta, con ostriche a colazione e una ragazzetta alla scoperta del mondo con la pasta al sugo sulla tavola familiare. Ma insomma. Forse una ispirazione, (Kechiche però ama poco uno dei due personaggi, Tognazzi invece li coccola entrambi e questo è fondamentale). Quello che invece è certo è che il sesso, sensualità, desiderio, erotismo (per me non è molto sensuale nemmeno la scena della sculacciata kechichiana della Vie d’Adele anzi è piuttosto ginnica) nel film di Tognazzi non esiste. E nemmeno che so? un bacio, una carezza (sono in crisi non dimentichiamo), le due si baciano una volta senza attrazione, e non si toccano mai. Il grado zero della fisicità, ma deve davvero essere così frigida la vita «normale»?

 

 

 

Non so cosa sia accaduto perché a me Maria Sole Tognazzi piace, Io viaggio sola era un bel film modulato da sentimenti impalpabili, nevrosi diffuse (il corpo trattenuto di Buy era perfetto) senza fratture eroiche, su stati emotivi di solitudini e abbozzati rimpianti che la protagonista, un personaggio femminile anticonvenzionale portava con sé nei suoi viaggi di lavoro e di fuga dalla vita.

 

 

 

Qui invece tutto deve quadrare, ogni battuta è millimetrata ; le cose spiù belle, quelle in cui si parla d’amore (e senza dover per forza ammiccare) sono gesti improvvisi, atmosfere che la macchina da presa cattura, lo sguardo della regista su piccole cose, paure stupide i impulsi infantili che fanno apparire un’intimità purtroppo solo fugace.