Dal 6 al 10 dicembre si terrà in Polonia il 16esimo Internet Governance Forum globale (Igf). Gli oltre 1.000 speaker previsti, provenienti da 175 paesi, si ritroveranno a Katowice e online, per parlare di inclusione digitale, rispetto dei diritti umani, regolazione dei mercati, diritti dei consumatori, cambiamento climatico, e poi di cooperazione, fiducia e sicurezza online.

L’iniziativa è delle Nazioni Unite che decisero di avviarla dopo il World Summit di Tunisi nel 2005. All’epoca era già chiaro che Internet avrebbe trasformato ogni aspetto del vivere civile e la speranza di una sua eguale e inclusiva diffusione era molto alta.

L’Italia giocò dagli inizi un ruolo fondamentale nel favorire il percorso di discussione in cui l’Igf voleva coinvolgere tutti gli attori interessati, e cioè la società civile, le associazioni tecniche, gli esperti e gli organismi di certificazione insieme alle aziende di Tlc.

L’elenco di questi portatori d’interesse oggi si è allungato e i risultati degli incontri tenuti anche a livello nazionale in moltissimi paesi, sono sotto gli occhi di tutti.

Anche per chi non vede le differenze di un’Internet più moderna in quanto a protocolli, più resiliente rispetto agli attacchi cibernetici, e più inclusiva e rispettosa dei diritti delle donne, delle comunità discriminate e delle popolazioni marginali.

Nonostante il lavoro fatto all’Igf in questi anni, un vero e proprio «Parlamento di Internet», basato sulla discussione e sul consenso, molti problemi restano da affrontare.

Perciò quest’anno l’iniziativa delle Nazioni Unite dal titolo «Internet United» assume un valore fortemente simbolico di fronte all’autarchia di stati e Big Tech che la vogliono «cosa loro», per il potere regolatorio, di persuasione e di controllo che riescono ad esercitarvi.

E l’unica medicina a questa deriva ancora una volta sarà il dialogo e l’autorappresentazione della diversità, politica, religiosa e di genere, soprattutto di fronte alle sfide del nuovo autoritarismo digitale.

Lo spettro con cui confrontarsi è la così detta sovranità digitale, lo storytelling governativo che con la scusa di assicurare la stabilità sociale, la privacy o il libero mercato restringe il raggio dei comportamenti ammissibili in rete decidendo d’autorità di chiudere le porte a dissidenti, liberi pensatori e avvocati dei diritti umani.

Nel calderone degli shutdown, le interruzioni forzate delle rete in prossimità delle elezioni, della censura dei giornali online, e delle aggressioni manifeste dentro i social, si assottiglia infatti la libertà che Internet promuove e rappresenta.

L’Igf è l’occasione per discutere i limiti di governi e piattaforme e rendere protagonista chi la usa ogni giorno.

Nessuno dimentica infatti cosa è successo con la Brexit, l’elezione di Trump e lo scandalo di Cambridge Analytica, la sorveglianza di massa che gli Usa esercitano attraverso la rete, la manipolazione russa delle opinioni sui social, le incursioni cinesi e coreane nel cyberspace o la guerriglia cibernetica tra filo-israeliani e filo-palestinesi.

Ma Internet è una forza dirompente.

Se nei mercati nigeriani basta un’applicazione sul telefono che gira su Internet per fare la spesa al mercato, i movimenti di protesta in Russia si danno appuntamento via chat, i cittadini europei organizzano sui social le marce per il clima e i blogger filippini denunciano la violenza del governo Duterte.

Ci appare scontato, ma la continua richiesta di apertura e condivisione di chi partecipa all’Igf rappresentano il migliore risultato per un’Internet al servizio delle persone e non del profitto.

disclaimer: Arturo Di Corinto è moderatore all’IGF dello High Level Expert Panel sui temi dell’inclusione digitale e del ruolo delle piattaforme social