A quasi tre anni dall’avvio dell’iter parlamentare (gennaio 2015 alla Camera) ieri il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo al decreto legislativo che contiene anche la nuova disciplina sulle intercettazioni, con limitazioni sull’acquisizione, sulla diffusione e sulla divulgazione delle registrazioni ambientali e telefoniche ai fini investigativi.

Il cuore della riforma prevede il divieto di trascrivere nelle ordinanze le intercettazioni non rilevanti per le indagini, e udienze filtro davanti alle parti per selezionarle. Le intercettazioni non utilizzabili, e non trascrivibili, faranno parte di un archivio riservato, accessibile solo alla polizia giudiziaria, ai giudici ed eventualmente ai difensori autorizzati, destinato ad essere distrutto. Inoltre, si amplia il parterre di reati per cui è possibile intercettare o intervenire per fermare un crimine utilizzando i “captatori informatici”, i cosiddetti virus trojan, che nel 2016 con una sentenza a Sezioni Unite la Cassazione aveva autorizzato per i soli delitti di criminalità organizzata. Introdotto anche un nuovo reato per chi viola le regole, che prevede fino a 4 anni di reclusione.

Una riforma difficile e delicata, di cui si discute accanitamente dai tempi del «bunga bunga» di Berlusconi e che è passata attraverso molte formulazioni (tra le prime quella suggerita dal procuratore capo di Roma Pignatone che prevedeva un sunto delle intercettazioni anziché il virgolettato). E che ora lascia insoddisfatti – e forse non avrebbe potuto essere altrimenti – un po’ tutti gli attori del processo penale: da un lato i magistrati che lamentano lo strapotere della polizia giudiziaria, a loro scapito, e dall’altro gli avvocati che denunciano la violazione del diritto di difesa e di riservatezza dei colloqui tra l’indagato e il proprio legale. «È singolare che dopo la vicenda Consip, per citare la ferita aperta di intercettazioni mal trascritte, non si sia voluto garantire un sistema che consenta di verificare ex post eventuali errori di valutazione commessi dalla polizia giudiziaria», è uno degli appunti principali del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Albamonte.

E protestano anche i giornalisti, che acquisiscono il diritto di ottenere copie delle ordinanze del Gip ma solo a partire dal 2019, quando le nuove norme che li riguardano andranno a regime, a differenza di tutte le altre che entreranno in vigore tra sei mesi. Per l’Fnsi, che pure considera questo diritto acquisito dai cronisti un piccolo passo avanti rispetto ai testi precedenti, «l’obbligo di non divulgare materiale irrilevante ai fini del processo non può gravare sui giornalisti che, semmai, hanno il dovere opposto: quello di pubblicare ogni notizia di rilevanza pubblica, anche se coperta da segreto. Non tutto ciò che è rilevante per soddisfare il diritto dei cittadini ad essere informati ha necessariamente rilevanza penale – precisano i vertici dell’Fnsi – Per questo, in linea con l’indirizzo consolidato della Corte europea dei diritti umani, i giornalisti hanno il dovere di pubblicare tutte le notizie di interesse pubblico di cui vengono in possesso, a prescindere dal fatto che siano o meno coperte da segreto».

Durissimo anche il giudizio del M5S che addita la «legge-bavaglio» addirittura come un «favore per politici corrotti, funzionari pubblici tangentisti e finti imprenditori mafiosi». È un modo, attacca Luigi Di Maio, di «salvare una classe politica dai processi: non c’era riuscito Berlusconi, c’è riuscito il centrosinistra facendo un favore a Berlusconi».

Non ci sta, il ministro di Giustizia Andrea Orlando, cui si deve la messa a punto del testo definitivo: «Abbiamo un Paese che utilizza le intercettazioni per contrastare la criminalità – ha affermato – e non per alimentare pettegolezzi o distruggere la reputazione di persone che non sono sottoposte a procedimenti penali. Intercettare un potente dopo questo decreto sarà più facile che intercettare altre persone». All’Anm Orlando risponde assicurando che «c’è un’interlocuzione tra pm e polizia giudiziaria per cui alla fine è sempre il pm il dominus dell’attività di indagine». E ai giornalisti spiega che un anno di attesa occorre al governo per verificare che le ordinanze non saranno più «il copia-incolla di oggi, come spesso avviene. Se questo avverrà mi sembra ragionevole che si possa arrivare alla loro pubblicazione». Insomma, per il Guardasigilli, «senza restringere, anzi autorizzando addirittura a intercettare in modo relativamente più agevole per i reati contro la pubblica amministrazione, senza restringere la facoltà di utilizzare le intercettazioni come strumento di indagine, ci sono una serie di vincoli e di divieti che impediscono invece di utilizzarle come strumento di diffusione di notizie improprie, che colpiscono e ledono la personalità di soggetti che talvolta non sono nemmeno coinvolti nelle indagini».