Una iniziativa spettacolare «curiosa», ma che grazie all’Eur spa e al Teatro dell’opera di Roma ha permesso al pubblico romano di conoscere un aspetto importante del lavoro di Dimitris Papaioannou, l’artista greco oggi tra i più significativi e innovativi della scena internazionale. Alla Nuvola di Fuksas, dentro il suo sterminato ventre sotterraneo, per tre giorni è stata proiettata una esperienza digitale cresciuta come un reality attorno a una iniziativa/performance che l’artista ha elaborato e fatto crescere in patria qualche anno fa.

Dimitris Papaioannou foto di Pompilio Salerno

Col titolo Inside, si presenta così la «documentazione» filmata di una performance creata ancora nel 2011 ad Atene. Un’esperienza teatrale, della durata di sei ore, di un gruppo di attori e attrici, verrebbe da dire danzatori (del quotidiano, più che «sulle punte») nella grande stanza di un appartamento affacciato sulla città. Sei ore dura anche la proiezione, e quella che viene messa in video è la privata esistenza di ogni creatura. Uomini e donne entrano, mostrano qualche stanchezza, si spogliano, vanno in bagno, e poi si coricano su un enorme letto sulla destra della scena. Si avvolgono nelle grandi lenzuola, terminano la loro veglia, e avvolti, spariscono.
Il ritmo è continuo, incessante. Rispetto alla pruderie che la nudità potrebbe suggerire, in scena non c’è sesso né visioni proibite. Con il ritmo ritornante di un canto gregoriano, ci sono solo variazioni di una umanità che compie il suo ciclo.

SE LO SPETTATORE si aspettasse uno sviluppo prude di quel cerimoniale verso la nudità, resterebbe deluso. I corpi si fanno natura visuale, i movimenti ritmo di umanità che si raccolgono e si concentrano, e spariscono alla nostra visuale, nel momento di maggiore intimità con se stessi.
Nell’incontro che domenica è seguito tra l’artista e il pubblico al termine della visione, qualcuno trovava quasi «romantico» e a «lieto fine» quel pacifico e quieto uscire di scena dei personaggi. In realtà, conoscendo Papaioannou e i suoi bellissimi congegni narrativi, in cui l’elemento fondamentale è il conflitto tra le creature tra loro e con la natura, è difficile trovare anche solo vagamente rassicurante lo spettacolo. Le creature di Inside vivono, in questa analisi chilometrica e solo apparentemente felpata, la più crudele delle esistenze: con molta cura si denudano e raccattano i loro indumenti, per andare al massimo in bagno a riporre biancheria, per avvolgersi nelle lenzuola solitari e stremati, senza prospettiva alcuna di eros, o di qualche rapporto con «l’altro».

A cambiare sono solo le vedute fuori del finestrone che chiude la visuale del palcoscenico, immagini di angolature varie (e di diverse tonalità di colore) della città di Atene, rifugio ma anche prigione di questi corpi solitari e spogli. I monumenti meravigliosi della capitale greca, i suoi tesori e il suo retaggio di civiltà, che racchiudono e raccontano millenni ormai di genio, democrazia e socialità, paiono ricordo di una memoria lontana, di una vita che il presente irrigidisce in una scansione di sola memoria.

LA VIOLENZA di contatti e scontri che anima tante altre creazioni dell’artista, fin quasi a fare del «conflitto» essenza e vitale «condanna» della vita umana, qui si stempera in una solitudine sostanziale, per quanto la scena di questo «dentro» implichi un continuo spogliarsi, per uomini e donne, e non solo della biancheria, che raggela, piuttosto che accendere, ogni possibilità di incontro, tra quei corpi che il sonno racchiude come le ampie lenzuola.

L’impressione aumenta se, durante le sei ore della proiezione, lo spettatore evade momentaneamente nello spazio contiguo alla sala, il backstage, dove trucchi e macchinerie sceniche di Inside mostrano la loro strumentale necessità, meccanismi di una rappresentazione che non ammette fughe né deviazioni, neanche in nome di una necessaria umanità. Quello che in numerosi altri spettacoli di Papaioannou è duello, perfino sanguinoso, tra diverse umanità, incontenibile desiderio che può solo nello scontro culminare, qui rivela una profonda visione interiore, quasi disperata e disperante, senza movimenti «di macchina». Compreso il pubblico, davanti a una proiezione di abnorme durata.
L’elemento di curiosità è che Inside è stato uno dei primi spettacoli ad aver fatto conoscere nel mondo Papaioannou. Solo dopo son venuti i titoli che lo hanno reso universalmente famoso. Ma qui, usando i colori e i segni dei pittori suoi prediletti (Vermeer, Hockney, Hopper) fotografa per noi un mondo di ritualità e apparenze che nella quiete di quelle vite volte solo al sonno, stringe alla gola di una forzata impotenza.