La lotta bavarese per le api e la biodiversità deve il suo successo anche al sostegno di importanti istituti scientifici di ricerca che sono scesi in campo a favore della petizione popolare, come il prestigioso Max Planck. Ad uno dei suoi membri, il professor Joseph H. Reichholf, docente di Scienze della Vita alla Tum (Technische Universität München) abbiamo chiesto di approfondire le ragioni di questa inedita sollevazione popolare a favore della biodiversità.

Professor Reichholf, gli effetti nocivi dei pesticidi furono documentati e denunciati già negli anni ’60 negli Usa da Rachel Carson nel suo celebre libro «Primavera Silenziosa». Cinquant’anni dopo sembra che non abbiamo ancora imparato la lezione, visto che la popolazione degli insetti continua drasticamente a diminuire. Quali sono le cause maggiori di questa strage?

È vero, non abbiamo imparato la lezione: al Ddt sono seguiti altri pesticidi che, a sentire i produttori, erano sicuri. E tuttavia non lo erano. Siccome il loro utilizzo faceva aumentare le rese agricole, le autorità pubbliche sono sempre state riluttanti a proibirne l’utilizzo. Oggi l’agricoltura riceve pesanti sussidi e viene ritenuta al di fuori di una legislazione ambientale che esiste ed è piuttosto severa. L’agricoltura moderna dovrebbe essere trattata come altre imprese, mentre persiste il refrain dei poveri agricoltori che hanno bisogno di sussidi per sopravvivere. Questo sistema ha come risultato prodotti alimentari apparentemente convenienti nel supermarket, ma solo perché i costi reali rimangono nascosti nel sistema fiscale. Nella realtà dei fatti, sono i contribuenti ad essere sfruttati dagli attori globali dell’agro-chimica.

Perché gli insetti stanno sparendo anche nelle aree protette?

Pesticidi ed erbicidi sono solo una parte della storia. Altri fattori importanti sono l’eccesso di fertilizzanti, soprattutto letame liquido e composti azotati distribuiti dall’aria e dalle piogge. Questi agiscono anche sulle aree protette che non sono coltivate. L’eutrofizzazione per via aerea promuove la crescita della vegetazione, tuttavia creando un habitat più freddo e più umido vicino alla superficie del suolo, dove vivono larve e insetti. Il surplus di azoto favorisce un esiguo numero di piante che tollerano l’eccesso di fertilizzazione, ma elimina la maggior parte delle altre, come i fiori di campo. Questa riduzione delle varietà di piante riduce in proporzione il numero delle specie di insetti, ma anche il numero di insetti di ogni singola specie, proprio perché le piante contengono troppi composti azotati. Il metabolismo dei bruchi non sopporta questo cambiamento di dieta.

La petizione popolare chiede la creazione di habitat interconnessi e corridoi ecologici: perché questi corridoi sono così fondamentali per la biodiversità?

L’agricoltura industriale intensiva ha bisogno di campi sempre più grandi per vaste estensioni di monocolture, di conseguenza le poche aree non coltivate sono diventate isole distanti le une dalle altre, dove le popolazioni di insetti o di fauna selvatica che hanno un baluardo in queste zone, sono isolate: se qualcosa va storto spostarsi da un luogo all’altro diventa un problema. I corridoi ecologici possono evitare le conseguenze negative dell’isolamento e vie di fuga quando serve.

I corridoi ecologici sarebbero necessari anche nei territori urbani?

Certamente! L’ambiente urbano fornisce molti spazi per una buona varietà di animali e specie vegetali. Possiamo dire che più grande è una città, più specie selvatiche possono viverci.

Perché il declino della biodiversità è associato al declino dell’agricoltura di piccola scala?

Anche l’agricoltura di piccola scala modifica le condizioni naturali di campi e prati, però quando ci sono aziende piccole questo avviene come in un mosaico, in modo tale che ci siano sempre spazi, come siepi, muretti, alberature, zone boschive, dove animali selvatici, farfalle o grilli possano rifugiarsi per sopravvivere. Questo tipo di condizioni, che creano un paesaggio ricco di vita animale e fiori, si può ancora trovare in molte zone d’Italia. Invece, l’agricoltura industriale di vasta scala, spiana e distrugge in un colpo solo aree molto vaste, impoverendo il paesaggio dei suoi elementi strutturali e riducendo la qualità della vita anche delle persone che ci vivono.

Chi si è opposto alla petizione sostiene che gli agricoltori saranno messi in difficoltà. Cosa ne pensa?

Gli agricoltori dicono sempre di essere difficoltà. Stanno sfruttando il risultato della petizione popolare come un pretesto per chiedere ulteriori sussidi pubblici. È bene distinguere tra le grandi aziende, le maggiori destinatarie dei sussidi, e le piccole, che non possono competere con le grandi e devono combattere per sopravvivere.

La proposta dei Verdi chiede di arrivare progressivamente al 30% di superficie agricola biologica nel 2030. Secondo lei una tale estensione è sufficiente per risanare l’ecosistema oppure è lo standard minimo economicamente sostenibile?

No, il 30% di agricoltura biologica non è sufficiente, ma almeno andiamo nella direzione giusta. È l’agricoltura biologica e di piccola scala a dover essere preservata e sovvenzionata, mentre l’agricoltura industriale, al contrario, andrebbe tassata come tutte le imprese industriali.

Pensa che queste misure per la Baviera potrebbero essere adottate anche altrove in Europa?

Certamente! Dove le pratiche agricole tradizionali sono ancora presenti sarà più facile avviarsi verso un tipo di agricoltura che si basa e si adatta alle condizioni locali e che è gradita alle popolazioni locali. L’agricoltura europea dovrebbe produrre per i cittadini europei nel modo migliore possibile e ritirarsi dalla competizione con i prodotti dei paesi in via di sviluppo.