Insegnare a leggere la letteratura è un atto oppositivo
Critica dove sei In un sistema culturale incapace di riconoscere la funzione fittizia e insieme concreta della narrativa alta, i docenti devono continuare a proporre clandestinamente i classici
Critica dove sei In un sistema culturale incapace di riconoscere la funzione fittizia e insieme concreta della narrativa alta, i docenti devono continuare a proporre clandestinamente i classici
La diagnosi riguardante la crisi della critica, da Notizie dalla crisi (1993) di Cesare Segre a Eutanasia della critica (2005) di Mario Lavagetto, va interamente riformulata. Anche l’antitesi fra teoria letteraria (intesa come puro scientismo) e critica (percepita come libertà anarchica della lettura), argomentata in Italia da Alfonso Berardinelli, è del resto del tutto superata.
I veri banchi di prova della tenuta o del collasso del discorso critico oggi sono, alla prova dei fatti, quelli in cui questo argomento può ancora farsi discorso pubblico: nella scuola e nell’università. È soprattutto l’esercizio didattico, insomma, il luogo della sopravvivenza culturale per il critico odierno. L’atto critico-didattico è in sé utopico perché prevede che insegnanti e studenti, nell’assenza di un lessico condiviso e nel quadro di classi costituite da migranti e da nativi digitali, condividano le medesime procedure cognitive e interpretative: che esplorino cioè le omologie e le opposizioni fra le opere e il mondo, rinominando con consapevolezza i concetti-guida (autore, lettore, temi, forme, storia, valore).
La situazione del critico-docente è dunque quella di chi si estrae dalla palude tirandosi per il codino, in dialogo potenziale con la parte espropriata e invisibile dell’umanità: credo si possa ancora scegliere questa strada, e leggere in pubblico i testi con occhi strabici, come faceva Franco Fortini, con uno sguardo alle forme dell’opera, l’altro ai conflitti del mondo e ai rapporti sociali.
Noi, abitati da due logiche
Le risorse della critica, del resto, sono di per sé pedagogiche: la sua funzione è una guida al buon uso dell’immaginario. Come ha insegnato Francesco Orlando, in quanto essere umano ciascuno di noi è abitato da due diverse, inseparabili, logiche: una forte, che sa rispettare il principio di non-contraddizione (quella che usiamo da grandi e da svegli, che domina il mondo dalle rivoluzioni industriali in poi), e l’altra debole, che tende a pensare per immagini, generalizzare le somiglianze, da cui si affranca a fatica il bambino, che persiste nei sogni o nei sintomi o nei motti di spirito. La critica aiuta a dare senso a questo intreccio conflittuale tra le due logiche propriamente umane, verificandolo nella figuralità delle opere.
Non credo che, a scuola, il pericolo per la letteratura e per la critica sia dato ancora oggi dalle griglie strutturaliste applicate alla didattica; semmai dall’erosione degli spazi deputati all’educazione umanistica in favore di discipline considerate dal senso comune più spendibili e dalle iniziative extracurricolari più parcellizzate e servili (da ultimo, l’alternanza scuola-lavoro). E, infine, dal completo disorientamento o ignoranza – a scuola e nelle università – delle operazioni più semplici e necessarie: storicizzare l’opera nel suo tempo, descriverne le forme, interpretarne e attualizzarne il senso. L’insegnamento della letteratura (la critica nel senso etimologico del termine) è un atto di opposizione, se non altro perché allena a mettere in dubbio la pratiche dominanti in un contesto dove – tanto nel campo dell’educazione quanto nelle forme del dissenso – è interamente da riscoprire il significato stesso, individuale-collettivo, della parola libertà. Tradotta nell’habitat didattico, la critica comporta inoltre l’utopia concreta di una possibile «controstoria», vale a dire l’uso da parte degli studenti di uno strumento adatto a verificare il rapporto contraddittorio tra storia sociale e invenzione letteraria.
Disubbidire alla buona scuola
La critica come didattica, finché potrà dovrà dunque disubbidire alla buona scuola e all’università dell’eccellenza, e sotto banco continuare a porsi il compito di rinegoziare la funzione della letteratura come «unità della percezione del reale e dell’immagine del possibile», scriveva René Wellek in Storia della critica moderna. In un sistema culturale ostile, incapace di riconoscere quella che Thomas Pavel ha chiamato la funzione fittizia e insieme concreta dell’invenzione letteraria, il critico-docente deve continuare a proporre clandestinamente (magari per frammenti) Leopardi, Baudelaire, Flaubert, Kafka o Svevo provando e restituire nuovi significati a quelle opere. Con il loro italiano stentato, le studentesse e gli studenti impareranno a estrarne ancora un contenuto di verità.
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