L’efficacia delle politiche contro il riscaldamento globale si misurano nel medio-lungo periodo. È un bicchiere mezzo pieno, così, quello che vede le emissioni di gas serra in Italia segnare nel 2019 un -19% rispetto al 1990. Sul 2018, invece, la riduzione è stata del 2,4%. I dati gli ha diffusi l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), presentando ieri il National Inventory Report 2021 e l’Informative Inventory report 2021.

Sono tante le concause positive di questa riduzione: la crescita negli ultimi anni della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico), l’incremento dell’efficienza energetica nei settori industriali e la riduzione dell’uso del carbone, una delle fonti fossili più emissive.

In particolare, spiega una nota, «i settori della produzione di energia e dei trasporti restano responsabili di circa la metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti». Sui trasporti, il bicchiere si rovescia: «Il complesso dei trasporti, che mostra un aumento del 3,2% rispetto al 1990, riflette il trend osservato nel consumo di combustibile per il trasporto su strada»: con più auto in circolazione e più chilometri percorsi, poco importa se aumenta l’efficienza dei motori a scoppio.

Un «ma» riguarda anche le nostre case: usiamo troppo metano (fonte fossile) per riscaldarle. Sono 17,5 milioni le abitazioni che usano questo combustibile. Il settore residenziale da solo è responsabile del 64% della quantità di polveri sottili Pm2,5, del 53% di Pm10 e del 60% di monossido di carbonio (CO) emessi nel 2018, contribuendo al peggioramento della qualità dell’aria specie nelle grandi città del Centro-Nord. Il riscaldamento pesa sulle emissioni di CO2 per oltre il 17,7%. Anche questi sono dati ISPRA, elaborati da Elemens per Legambiente e Kyoto Club.

Le due organizzazioni puntano all’eliminazione immediata del superbonus per le caldaie a gas e al 2025 quale data strategica per vietare l’installazione di nuovi impianti alimentati da fossili.

È la transizione energetica che passa necessariamente anche per una riduzione del numero di capi animali allevati: se è vero che solo il 7 per cento delle emissioni complessiva riguardano il comparto primario, lo è anche che gli inquinanti sono tanti e agricoltura e allevamenti sono responsabili quasi esclusivi delle emissioni di ammoniaca, gas incolore e tossico, responsabile dell’eutrofizzazione delle acque superficiali. Eppure ieri, dopo la presentazione dei rapporti ISPRA, da Coldiretti e Fratelli d’Italia hanno preso le difese delle «stalle» che hanno continuato ad operare a pieno regime, poggiando queste affermazioni sui dati preliminari relativi alle emissioni nel 2020, anticipati ieri.

A causa delle restrizioni alla mobilità dovute al Covid-19 su tutto il territorio nazionale, ha spiegato ISPRA, è infatti lecito attendersi una consistente riduzione delle emissioni di gas serra a livello nazionale, previste inferiori del 9,8% rispetto al 2019 (a fronte di una riduzione prevista del Pil pari all’8.9%). L’andamento stimato è ovviamente dovuto alla riduzione delle emissioni per la produzione di energia elettrica (-12,6%) e alla riduzione dei consumi energetici di industria (-9,9%), trasporti (-16,8%) e per riscaldamento (- 5,8%).

Nel mese di febbraio 2021, intanto, è stata trasmessa a Bruxelles la Strategia italiana sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, elaborata nell’ambito degli impegni dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Individua come obiettivo che l’Italia dovrà raggiungere entro il 2050 la neutralità emissiva. Che non significa, però, emissioni zero.