Nel 2013 un decreto dell’ Ufficio bonifica siti della Provincia di Sassari aveva individuato nella Syndial (una società dell’Eni) il soggetto responsabile del pesantissimo inquinamento della falda acquifera di una parte del distretto petrolchimico di Porto Torres, la più importante zona industriale del nord Sardegna. Con lo stesso decreto la Provincia di Sassari aveva ordinato all’Eni l’immediata bonifica dei terreni. Ma il colosso italiano dell’energia si era opposto, dando il via a un contenzioso legale che, protrattosi per sette anni, ora sembra arrivato a una svolta forse decisiva. Pochi giorni fa, infatti, i giudici della seconda sezione del Tar Sardegna hanno respinto un ennesimo ricorso dell’Eni. Secondo gli avvocati del gruppo tutte le responsabilità relative al caso Porto Torres sarebbero da attribuire alla gestione degli impianti fatta dalla Sir di Nino Rovelli negli anni precedenti l’acquisizione del sito da parte dell’Eni, avvenuta nel 1982. Ma per il Tar le cose non stanno così. «La modifica nell’intestazione dei beni e delle correlate proprietà – scrivono in risposta all’ufficio legale Eni i giudici nella sentenza – non ha determinato una sottrazione delle connesse responsabilità, essendo il passaggio di proprietà dei beni dalla Sir all’Eni avvenuto in una logica di continuità, sotto forma di trasferimento-subentro in tutte le posizioni di titolarità di beni e impianti». Di conseguenza Eni «è tenuta a rispondere per tutti i rapporti giuridici», compresi gli obblighi ambientali legati alla gestione dello stabilimento di Porto Torres.

Nel ricorso presentato al Tar Sardegna, l’Eni ricorda che sin dall’acquisizione degli impianti Sir nel 1982 il gruppo ha provveduto a interventi di contenimento dei danni ambientali e che importanti opere sono state realizzate, da allora sino ad oggi, per bonificare il sito. Il ricorso al Tar, quindi, dicono gli avvocati, non significa che il Eni vuole sottrarsi all’obbligo di risanare. L’iniziativa legale voleva invece che l’Eni fosse riconosciuta come «proprietario incolpevole», essendo la responsabilità dell’inquinamento, secondo la holding dell’energia guidata da Claudio De Scalzi, tutta e soltanto della Sir.

L’area industriale di Porto Torres è dal 2002 uno dei trentanove siti di interesse nazionale individuati dal ministero dell’ambiente ai fini delle bonifiche. Secondo i dati dell’Arpas (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente), a Porto Torres ogni litro d’acqua contiene 630mila microgrammi di tricloroetano, ma, per legge, non dovrebbe superare la soglia di 0.2 microgrammi per litro. Il tetracloroetano è 1.700.000 volte superiore ai limiti di legge. Il dicloroetano è 1.200.000 volte. Il cloroformio supera la soglia di 583mila volte, gli organoalogenati 370mila, il dicloroetilene 114mila, il benzene è 20mila volte sopra la soglia e gli idrocarburi oltrepassano il limite consentito di 2.400 volte. E ovviamente le conseguenze sulla salute sono gravi. Secondo l’Istituto superiore della sanità, in quest’area c’è un’alta percentuale di morti per tumori del sistema linfoemopoietico sia tra gli uomini (osservati/attesi 99/84) sia tra le donne (73/68). Confrontando i dati con quelli italiani emerge una maggiore presenza di malattie infettive (+23% negli uomini; +12% nelle donne), respiratorie (+22%; +15%) e dell’apparato digerente (+26%; +9%).

«Una sentenza storica quella del Tar Sardegna – commenta Mario Perantoni, presidente della commissione giustizia della Camera e deputato sardo M5s – che si pone dalla parte della tutela dell’ambiente stabilendo le responsabilità di Eni».