Mentre il governo legastellato sta per lanciare gli «stati generali dell’editoria» i frutti nefasti del taglio al fondo per il pluralismo cominciano a maturare. Di fatto non c’è editore italiano, piccolo o grande, che non abbia dichiarato lo stato di crisi. E anche i pochi che apparentemente resistono, vedono calare vendite e ricavi e si arrangiano nel «diversificare il prodotto» con eventi, big data, collaterali, corsi professionali, viaggi e quant’altro. Se la stampa è in crisi, il giornalismo non ride. Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato democrazia. Negli Stati uniti centrali negli ultimi anni sono scomparse 1.800 testate locali,...