Le parole di chi c’era evocano l’inferno: pezzi di corpi per la strada, sangue sul cemento e le macerie, soccorritori costretti a raccogliere arti umani in buste di plastica e coperte. Martedì pomeriggio la città di Mastaba, provincia yemenita di Hajja (controllata da mesi dal movimento ribelle Houthi), ha pianto altri 41 morti. Tutti civili: ad essere colpito è stato un mercato, affollattissimo al momento dell’attacco.

Le due bombe che lo hanno devastato sono state sganciate dai jet sauditi. Il bilancio ad un giorno e mezzo dal massacro, però, non è ancora definitivo: come spiega Ali Ajlan, amministratore di uno degli ospedali in cui sono stati ricoverati i feriti, pochi corpi sono rimasti intatti per cui il calcolo esatto non è ancora disponibile. C’è chi parla di 65 vittime, chi addirittura di 90.

A poco serve quindi la tregua dichiarata dalla coalizione sunnita anti-Houthi pochi giorni fa: vale solo al confine tra Yemen e Arabia Saudita, il resto del paese è carne da macello. Eppure il dialogo tra le due parti, mediato da tribù locali, pare andare avanti.

Almeno così riportano fonti interne alla delegazione Houthi e a quella saudita, che non specificano però di cosa si stia discutendo. Lunedì il capo dell’ufficio politico Houthi, Saleh al-Sammad, ha ribadito l’intenzione di giungere alla pace e confermato lo scambio di prigionieri di una settimana fa. Allo stesso tempo, però, definisce il negoziato la dimostrazione della sconfitta subita da Riyadh in Yemen.

Prova a metterci il naso l’Onu, tagliata fuori dal dialogo in corso: ieri il responsabile delle attività umanitarie delle Nazioni Unite nel paese, Jamie McGoldrick, ha accusato coalizione e Houthi di non rispettare in alcun modo l’obbligo di protezione dei civili e di non aiutare a consegnare gli aiuti alla popolazione. Solo ieri la città di Taiz, terreno di scontro da mesi e da sabato quasi del tutto ripresa dalle forze pro-governative, ha visto arrivare convogli di aiuti: 20mila scatoloni di cibo inviati da Riyadh.

Eppure la guerra non si placa e il bilancio continua a salire: 6-8mila morti, nessuno riesce a quantificare con esattezza le perdite a causa dell’assenza di istituzioni indipendenti e radicate sul terreno. Con l’operazione militare saudita che sta per compiere un anno, di certo c’è la complicità internazionale: le armi che massacrano lo Yemen sono tutte fabbricate e vendute dagli alleati occidentali dei Saud.

Per questo il parlamento europeo a fine febbraio ha votato una risoluzione che chiede a Bruxelles di imporre l’embargo militare e sempre per questo ieri il parlamento olandese ha fatto lo stesso: un appello al proprio governo perché recepisca la decisione europea.