Non bastavano le petromonarchie del Golfo da anni impegnate a combattersi anche attraverso acquisizioni miliardarie di club di calcio europei. Adesso è lo stesso presidente della Fifa, Gianni Infantino, a puntare sulla politica spingendo nei campi di calcio il Medio oriente con i suoi conflitti irrisolti, occupazioni militari interminabili e tensioni continue. «Perché non sognare una Coppa del Mondo in Israele e nei Paesi vicini? Perché non organizzare il mondiale qui assieme agli altri Paesi del Medio Oriente e ai palestinesi?» ha detto Infantino in visita ufficiale a Gerusalemme e in Israele per la celebrazione degli Accordi di Abramo firmati un anno fa con quattro paesi arabi Emirati, Bahrain, Sudan e Marocco. Infantino si è riferito all’edizione 2030. «Oggi ospitare un Mondiale è un’avventura molto grande, è qualcosa di più di un evento sportivo», ha aggiunto il numero uno del calcio mondiale con evidente riferimento alla dimensione politica e diplomatica di un evento sportivo organizzato da Israele e arabi insieme nello spirito dei tanto discussi Accordi di Abramo.

Infantino sembra non avere consapevolezza delle tensioni, e molto più, che la sua idea di Coppa del Mondo rischierebbe di innescare nella regione e in Nordafrica tenendo conto che le popolazioni di certi paesi respingono la normalizzazione dei rapporti con Israele. Le proteste palestinesi, già forti nei giorni della firma degli Accordi di Abramo, riprenderebbero più incisive che in passato. Non a caso la sua proposta è stata accolta con disappunto nei Territori occupati. E il presidente della Federcalcio palestinese Jibril Rajoub ha deciso di non incontrarlo anche se con una motivazione non legata alla proposta per il Mondiale del 2030. A Infantino viene contestata la partecipazione a eventi che hanno luogo a Gerusalemme nella sede del cosiddetto Museo della Tolleranza realizzato in parte sul terreno di uno storico cimitero islamico nella zona di Mamilla in cui musulmani sono stati inumati per secoli. Il ministero degli esteri palestinese ha definito l’avvio delle attività del Museo «un attacco provocatorio ad uno storico cimitero islamico, nonché una violazione palese del diritto e delle convenzioni internazionali».

Il capo della Fifa dall’inizio del suo mandato ha rapporti difficili con i palestinesi. Qualche anno fa Rajoub al Congresso della Fifa usò parole dure per condannare l’indifferenza mostrata dal massimo organo del calcio internazionale di fronte alla partecipazione al campionato israeliano di club di sei insediamenti coloniali che hanno sede nei Territori occupati. E non mancò in quella occasione di ricordare ostacoli e restrizioni a cui sono soggetti i calciatori palestinesi.  «Questa è la quinta volta che mi rivolgo a questo Congresso e stai dicendo che è prematuro prendere una decisione», disse Rajoub rivolgendosi a Infantino. «Chiediamo – aggiunse – una soluzione calcistica e non politica sulla base di leggi e regolamenti. Sarebbe politica se il Congresso non accettasse questa idea ma permettesse a Israele di continuare a violare in modo flagrante gli statuti della Fifa». Infantino si difese affermano di non voler «politicizzare» le conclusioni di una istituzione molto nota e dedicata sport. Ora è proprio lui a voler dare un carattere politico ai Mondiali di calcio proponendo la candidatura di Israele e dei paesi arabi nel segno degli Accordi di Abramo.

Sullo sfondo delle proposte di Infantino, giungono nuovi drammatici aggiornamenti sull’estendersi delle proteste nelle carceri israeliane. Circa quattrocento militanti del Jihad islami hanno iniziato uno sciopero della fame ad oltranza contro la detezione amministrativa (senza processo) e le «misure punitive» che sono state adottate dal servizio carcerario israeliano dopo la fuga di sei detenuti dalla prigione di massima sicurezza a Gilboa (Galilea) avvenuta il 6 settembre.