L’equilibrio è precario. Ne sa qualcosa Armunia che da 25 anni sperimenta leggi di gravità non permanenti in vista di progetti e percorsi teatrali fra depistaggi e interferenze. L’impianto orchestrato dai direttori Angela Fumarola e Fabio Masi scruta (fino al 4 luglio) un orizzonte ondivago, istruendo un corpo a corpo fra lo ieri di chi qui ha debuttato (e si è fatto le ossa) e l’oggi di chi si inoltra nella sperimentazione, spesso sull’orlo di una crisi di nervi quando non sopita su circuiti confusi e alla fine rassicuranti. Non pacificati, pur nella diversità del dispositivo tecnico e dei contenuti drammatici, sono i tre capitoli che hanno aperto Inequilibrio 2022, accomunati da un profilo narrativo in solitaria e da un vocalità espansa, ascrivibile a una sorta di moderno, tecnologico, recitar cantando.

COME FA Roberto Latini nei quadri 4 e 9 della sua esposizione su Venere e Adone, diviso fra erudizione e divertissement, Sgalambro e Campana, Duchamp e Rambaldi, immerso in una autoironica tempesta scespiriana, preda di una futuribile ecatombe sentimentale, sorretto dalla raffinata cerniera sonora imbastita dal fedele Gianluca Misiti. O come fa, con tutto lo humour e il disincanto di cui è maestro, Roberto Abbiati che per mano di una amorosa servetta goldoniana, Ilaria Marchianò, ci conduce al ritrovamento della Vera mamma di Ulisse, quasi un capriccio mozartiano infuso di allegria e stravaganza, omaggio picaresco al mondo delle fiabe di cui Odisseo/Ulisse è campiono assoluto, ispirato da Capossela, Paolo Conte, Patty Pravo. O infine come fa Leonardo Capuano immerso nel suo Sistema nervoso, reticolato gotico e delirio kafkiano di una condizione umana che sfoglia la cognizione del dolore come una margherita di disagi e squilibri. Per tornare a quel precario incipit di cui si nutre la nostra quotidianità.