Che idea curiosa quella di digiunare per avere un dialogo speciale con Dio. Dal Medio Evo in avanti l’hanno avuta parecchie donne e se ne sono trovate testimonianze. Caterina da Siena, Mollie Fancher, Anna Garbero, Maria Maddalena de’ Pazzi, Christina Georgina Rossetti, Jeanne Fery sono protagoniste individuate per le storie che hanno lasciato. Ce ne saranno state altre anonime, forse un «movimento» di digiunatrici spirituali è corso sotterraneo attraverso i secoli. Su questo spunto nasce Inedia prodigiosa. Musica per sole voci di Lucia Ronchetti, compositrice sempre in cerca di argomenti narrativi o teatrali.

Ronchetti ha scritto per un coro misto (nello svolgimento diviso nettamente in due, maschile e femminile), per un coro di voci bianche e per un coro amatoriale femminile. Questo l’organico decisamente nutrito. All’Auditorium romano il coro misto diretto da Ciro Visco è sul palco della Sala Sinopoli, il coro di voci bianche e il coro amatoriale diretti da Massimiliano Tonsini sono alle spalle del pubblico, in galleria. Tutti i vocalisti sono di stanza all’Accademia di Santa Cecilia. Ed è nota la loro altissima qualità. Sì, anche quella del coro amatoriale.

L’avvio è quasi uno spiritual. C’è melodia e cantabilità. Ci sono procedimenti iterativi, così che un’altra suggestione che insidia l’ascoltatore è il nome di Philip Glass. Suggestioni, niente di più. Spuntano accenni di recitato (non recitativo, sia chiaro), qualche grido, un sillabato appena concitato. Tutto è leggero e spesso elasticamente ritmico. La scrittura musicale non sembra avere tentazioni di ascetismo. Che bello! Da quello che si capisce della struttura narrativa i maschi in quest’opera giudicano, danno fastidio, le femmine si librano felici nella loro avventura. Avventura estrema e spirituale ma molto mondana nei toni. Fanno politica, cercano/affermano autonomia.

Sappiamo, noi ascoltatori, perché ce l’hanno spiegato prima – ma dei testi in italiano, latino, francese, inglese, tedesco come sempre non si capisce nulla -, che il digiuno è lo strumento di queste donne per sentirsi vive, per agire nel mondo. Ma per come si muovono nella musica di Ronchetti potrebbero benissimo preparare un evento di strada, un reading, un’assemblea tipo Occupy. Alcuni toni conventuali si affacciano, inevitabili, senza scalfire il principio generale della leggerezza. Non prevalgono e poi funzionano bene, sono godibili, ecco. Mirabile il procedimento polifonico nel coro misto. Anche «a domanda e risposta», perché c’è un dialogo, anzi un dibattito, anzi uno scontro, tra le parti (femmine-maschi: eterno e attualissimo conflitto). Dalle spalle di chi ascolta, dalle voci bianche e dalle voci del coro amatoriale, arriva qualcosa di angelico, un canto angelico.

Siamo sempre dentro una scrittura melodiosa e piana, senza le dirompenze o gli azzardi intervallari a cui ci ha abituato la «contemporanea». Torna la suggestione dello spiritual quando le donne del coro misto percuotono lievemente con le mani i loro spartiti. Nella seconda parte di Inedia prodigiosa il clima di dramma sacro o semplicemente di melodramma acquista un po’ più di peso. Ma il dispiegarsi a ondate liricissime di canti di digiunatrici accattivanti nel loro «rapimento», mistico fino a un certo punto, cattura l’attenzione, seduce, allieta. E poi l’opera ha un’altra bella risorsa: il periodico recitato (persino un po’ «comaresco») con cui le coriste amatoriali interpretano la protesta delle digiunatrici che sono state dimenticate o non abbastanza stimate. Il libretto è stato curato da Guido Barbieri, noto musicologo.