La provincia francese descritta da Simenon è il luogo delle ritualità e dei silenzi. Il tempo è scandito settimanalmente: più che le stagioni possono le domeniche, con la loro gradualità di messe a orari consoni ai diversi strati sociali. La messa bassa, di primo mattino, è quella di chi accudisce case altrui, quella di contadini e piccoli artigiani. La messa solenne è per la buona borghesia, gli impiegati con qualche speranza e i signorotti che vanno al rito a mattino pieno. I silenzi sono le molteplici e vischiose reticenze familiari, tra genitori e figli, tra coniugi, tra amanti. All’intorno, invece, è un sotterraneo serpeggiare di voci e notizie. A Les Sables-d’Olonne la vita di Hubert Cardinaud si snoda senza asperità: impiegato onesto, è rispettato dai suoi concittadini, salutato «anche da personaggi importanti come il notaio Bodet, il vicesindaco, il proprietario della fabbrica del ghiaccio». Le messe domenicali sono un rito da condividere con il figlioletto, e un’occasione per sentirsi in armonia con sé stesso, per assaporare la coerenza tra ricordi, pensieri e progetti, per sentirsi «contento, contento di essere la persona che era, di trovarsi lì, di quanto aveva fatto dal giorno della prima comunione, ricevuta in quella stessa chiesa, contento di quanto aveva fatto dal giorno del suo matrimonio». La sua dote (la sua forza e il suo ideale) è la compostezza. Quando un fatto inaspettato rompe il suo vivere consuetudinario, per quanto turbato, non si smarrisce: «Tutti pensavano che fosse finito, annientato, e lui invece si presentava in casa della gente come un redivivo. E loro rimanevano sbalorditi della sua calma, del suo sangue freddo! Era lui a sfidarli!».

Avanzamento sociale
Hubert è l’unico della sua famiglia a essere chiamato «signore»: il padre è un cestaio, i fratelli artigiani «plebei» con mogli popolane, sapienza spicciola, ristrettezza d’idee. Solo Hubert fa un lavoro di scrivania e ha comprato, con un mutuo impegnativo, una bella casa di mattoni rosa. Le fils Cardinaud, compiuto da Georges Simenon a Fontenay-le-Comte nell’estate del 1941, appare ora nella «Biblioteca» Adelphi con un titolo che mette in prima luce proprio il suo avanzamento sociale, Il signor Cardinaud (traduzione di Sergio Arecco, pp. 136, € 16,00), così correggendo il titolo con cui era uscito da Mondadori nel ’57, Sangue alla testa, sulla scia della pellicola con Jean Gabin.
L’inatteso abbandono da parte della moglie Marthe, che lascia Hubert con il piccolo di tre anni e una lattante di otto mesi, è preparato dal lentissimo incedere del primo capitolo, indugio dopo indugio, dai pensieri durante la celebrazione al «gesto automatico» con cui siede al caffè, dalla madeleine per il bambino al nastrino rosso del pacchetto con i dolci. Cardinaud non assume toni drammatici: vacilla solo all’inizio, dai genitori che non hanno mai approvato quel matrimonio, lì «manda giù le vongole che la madre gli apre una dopo l’altra, violacee e rosate –, di un rosa tenero e delicato – sul piatto di grossa terraglia rigato da mille graffi di coltello». La prosa di Simenon, che registra con particolare finezza gli stati d’animo del protagonista, aggancia in modo sobrio, ed efficacissimo, sentimenti e ricordi alle percezioni: a casa della madre, quel cibo, «quello che mangiava sapeva di lacrime e di infanzia».
I personaggi sono pochi, la vicenda scarna, l’intreccio semplice e di soluzione rapida: una settimana, giusto in tempo perché tutto torni come prima.
Quella di Hubert Cardinaud è una storia di tenacia, il suo amore è un’ostinazione sorda, pervicace. Completamente solitaria. Sa di aver sposato la donna sbagliata, e ciò nonostante non vuole perderla. Fin da ragazza gli era sembrata distante come «la Madonna», altera, «inaccessibile». La pazienza e la calma con cui scalda il biberon alla figlia, l’umiliazione che deve sopportare di fronte agli sguardi dei concittadini, l’inchiesta in cui si butta per ritrovare Marthe, quella donna «senza sangue, senza vita», e riportarla a casa, sono assimilati a un sacrificio supremo, che Hubert dice a sé stesso con «le parole della liturgia pasquale, accompagnate dal suono dell’organo e dal profumo dell’incenso: “…il calice fino alla feccia…”». Ma sbaglierebbe chi considerasse questo romanzo (solo) una storia d’amore. Nel tempo narrato di una sola settimana, è una sfida personale e un piccolo, sommesso Bildungsroman. E insieme è il risultato di un affrancamento sociale. La crescita del protagonista è tutta intima e tacita: è il prendere coscienza della sua umile e calma capacità di sopportazione, e del disinteresse con cui percepisce il giudizio degli altri. Il suo unico intento è recuperare la donna e la famiglia che aveva e continua a volere, far rientrare tutto «nei ranghi». In questo romanzo Simenon pone a confronto due modi di affrontare la vita: caparbio e volitivo in Hubert, che pure è comprensivo e non privo di dolcezza, e invece ermetico e distaccato in Marthe. Ciò che persuade nel Signor Cardinaud è che la vicenda non sbocchi in tragedia, che sia narrata nella prospettiva e nell’indiretto libero del protagonista, attraverso passaggi duttili e vibranti tra tempi verbali, con evidenze e fitte dolorose create dalle immissioni di un presente smagliante e senza pietà.
L’uomo con cui Marthe era insospettabilmente fuggita è «un piccolo farabutto», un «perverso attratto dall’ebbrezza del male, di ciò che è sordido, del gesto ripugnante». Un tipaccio rimasto in Gabon per anni, tra mangrovie e foreste equatoriali.

Criminali in fuga, ambiziosi falliti
Uomini di tal fatta ha incontrato più volte, Simenon, nei suoi lunghi viaggi: criminali in fuga, appassiti indolenti o ambiziosi falliti. Uomini «nati sotto una cattiva stella», assai più numerosi di quanti in Africa o ai Tropici siano riusciti a fare fortuna. La cattiva stella (traduzione di Marina Di Leo, Adelphi, pp. 167, € 12,00) è il titolo sotto il quale sono da poco apparsi alcuni racconti di Simenon debitori dei suoi soggiorni in Congo, nelle isole del Pacifico, in Nuova Guinea, in Ecuador, a metà anni trenta. Il gusto per la pura narrazione incontra qui l’esperienza vissuta: racconta casi esemplari con l’accortezza di «imbrogliare le carte», di scambiare le ambientazioni «perché tra grandi viaggiatori e avventurieri ci si riconosce più che in una piccola città».
Testi di genere misto – tra reportage, ricordo e racconto – hanno tono affabile e disinvolto. Il tema è il fallimento, o la «distinzione tra gli avventurieri che passano e i coloni che restano». I primi finiscono per lo più malissimo, impoveriti e incanagliti, preda di febbri, assassinati o assassini, gli altri – ben più rari – dei Tropici riescono a cogliere rigogliosità e bellezza. Fedele alla sua curiosità per «l’uomo nudo», Simenon racconta di bianchi «che si “incanachiscono”, cioè vivono con una donna indigena e, a contatto con lei, finiscono per inselvatichirsi», di un «ragazzone» alsaziano trasformatosi nell’«Eremita della Penisola», di un brillante laureato in agraria inebetito dal chamico. Questi racconti hanno il pregio – talora non amabile, certo da storicizzare – di offrire, nei destini dei singoli, spaccati interessanti sul rapporto madrepatria-colonie. Più sornione un altro libro di racconti, La linea del deserto (traduzione di Marina Di Leo, Adelphi, pp. 195, € 12,00), che delle ambientazioni esotiche fa strumento narrativo. Ad alleggerire, qui, è la dominante del genere poliziesco, garbata caratura d’evasione.
Il nodo in cui cultura provinciale, paesaggio esotico e disastro esistenziale si stringono è il romanzo Turista da banane (traduzione di Laura Frausin Guardino, Adelphi, 1996) che incarna il fallito dei Tropici nel fragile rampollo d’una dinastia di armatori a La Rochelle, Oscar Donadieu. È l’ultima tappa di un tracollo familiare iniziato, alla morte dell’oppressivo capostipite, «un monolito da un metro e ottanta», con Il testamento Donadieu (traduzione di Paola Zallio Messori, Adelphi, pp. 460, € 13,00): un romanzo di frizioni morali scandito nei suoi tempi dalle domeniche, ma vasto, ambizioso e potente, ricco di personaggi perfettamente sbalzati in cinismo, smarrimento e acidità, e memore della grande tradizione romanzesca francese.