“Penso che questa guerra sia in gran parte conseguenza dell’infantilismo politico della popolazione russa” dice in un video Dmitry Svetlow, direttore di Indika di Odd Meter, videogioco pubblicato da 11 bit studios su PC, PS5 e console Xbox.

Odd Meter ha lasciato la Russia dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, e ora opera in Kazakistan. “Infantilismo che è radicato nella cultura ortodossa russa, in cui obbedienza e pazienza sono le virtù principali. Un pentimento costante che diventa quasi un costante odio verso se stessi.”

In Indika interpretiamo una giovane monaca ortodossa nella Russia di un XIX secolo alternativo. La protagonista, Indika appunto, è mal voluta nel suo monastero perché sente la voce del diavolo, e con la scusa di una lettera da consegnare viene allontanata e costretta a viaggiare tra terre innevate, città distrutte e campi di battaglia. Il suo viaggio viene però dirottato dall’incontro con un soldato che ha un braccio in cancrena ed è convinto di sentire la voce di Dio e di dover raggiungere un artefatto capace di curarlo. Il diavolo di Indika non esiste: è manifestazione di ciò che l’autorità reprime, di un pensiero razionale e pieno di dubbi e curiosità che la ragazza alimenta sin dall’infanzia passata ad armeggiare coi motori. Così come non hanno valore i punti che conquistiamo completando compiti, trovando reliquie e pregando di fronte a icone sacre e che ci permettono di sbloccare abilità che hanno come unico scopo farci guadagnare ulteriori punti. Il punteggio è sempre visibile in alto a sinistra e crea un parallelo tra esperienza videoludica (fatta di obbedienza, autodisciplina, ricerca di ricompense) e religiosa.

Indika usa il medium videoludico con consapevolezza dei messaggi che rappresentazioni e meccaniche trasmettono, di quelle “retoriche procedurali” teorizzate dal critico Ian Bogost in Persuasive Games: The Expressive Power of Videogames (The MIT Press, 2007). I suoi puzzle raccontano l’approccio logico di Indika o la necessità di accettare il nostro diavolo. I flashback sull’adolescenza della protagonista sono ispirati ai videogiochi del passato, nostalgia per un’epoca perduta. Persino la visuale cambia per raccontare qualcosa. E quando alla fine Indika si libera del diavolo e delle regole della religione, il gioco termina improvvisamente come se riconoscesse di non poter rappresentare una vita priva di ricompense e game over. Ma la religione non può essere cancellata con uno sforzo razionale, come fa Indika.

Non potrebbe essere neanche eliminata da una rivoluzione delle condizioni materiali, se non nel senso che il cristianesimo ha dato al termine “religione” a partire dal XVI-XVII secolo. Il cristianesimo divise i suoi aspetti tra privati (che riguardano la salvezza dell’anima) e pubblici (la politica del nascente stato-nazione), chiamando “religiosi” i primi e “laici” i secondi e pretendendo poi che questa divisione fosse universalmente valida. Se assumiamo invece un punto di vista postcoloniale “possiamo considerare il secolarismo una forma di razzismo che ha lo scopo di sostenere la logica dell’economia politica neoliberista” scrive la ricercatrice anarchica Erica Lagalisse in Marginalizing Magdalena: Intersections of Gender and the Secular in Anarchoindigenist Solidarity Activism (2011).
Quello di Indika è un viaggio di accettazione di se stessa e di rimozione degli ostacoli che la religione organizzata pone a questa accettazione. Ma in quella che chiamiamo religione c’è anche altro.