Lavoro

“Indeterminati a vita”

“Indeterminati a vita”Precari Cgil – Sintesi visiva

Precari Cgil Riuniti a congresso in Abruzzo contestano il decreto Poletti: «La legge Fornero era meglio»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 1 aprile 2014
Antonio SciottoMONTESILVANO (PESCARA)

La Cgil insiste: il decreto Poletti non va bene, le norme sul lavoro si devono discutere con le parti sociali. Da Roma, dalla segreteria di Susanna Camusso, ieri è arrivato un avvertimento: «Il no del governo Renzi alla concertazione è come benzina sul fuoco del conflitto». Allarme che è rimbalzato tra i precari del Nidil (Nuove identità di lavoro), riuniti a congresso in Abruzzo. «Le nuove norme su contratti a termine e apprendistato – spiega il segretario generale Claudio Treves – sommate insieme prospettano una devastazione. Il governo ritiri i contenuti di quel testo e si confronti con noi».

«Il ministro Poletti giustifica le nuove norme affermando che in questo modo, venendo meno il rischio di contenzioso, le imprese non avranno timori ad assumere – dice il segretario del Nidil – Ma già oggi mi sembra che gli imprenditori non siano a corto di strumenti, basta guardare le comunicazioni obbligatorie all’Inps: ogni anno ci sono circa 10 milioni di attivazioni di rapporti, e più o meno altrettante cessazioni. Il 70% delle assunzioni avviene a termine, e un quarto di queste per durate inferiori alla settimana».

Secondo la Cgil, quindi, l’esecutivo Renzi oggi non farebbe altro che smantellare le ultime tutele, in continuità con i passati governi, anche quelli di Berlusconi: «L’acausalità del contratto a termine per tre anni è la cifra finale di un percorso avviato 15 anni fa – dice Treves – Ricordiamoci i due Libri bianchi dei governi di centro destra (2001 e 2010), ma anche il Libro verde della Commissione europea del 2007 sulla ’modernizzazione del diritto del lavoro’. E poi la legge 30, ma anche il recepimento della Direttiva sul lavoro in somministrazione, l’articolo 8 dell’estate 2011». La legge Fornero, segnalano i precari della Cgil, aveva anzi introdotto qualche limitazione alla precarietà, e oggi proprio «l’attacco bipartisan a quella riforma dà la stura al decreto Poletti, che completa l’opera di smantellamento».

I rischi del decreto? «I giovani restano imprigionati in una precarietà perenne – segnala il Nidil – con il ribaltamento di quello che fino a oggi è stato un principio centrale delle nostre norme, come lo è di quelle europee: il tempo indeterminato come rapporto normale di lavoro, e tutte le altre forme sua eccezione».

Stessa sorte subisce l’apprendistato, che perde il suo carattere principale, quello che peraltro giustifica un costo minore per le imprese: la formazione del lavoratore. «Questo strumento è stato ucciso, visto che il progetto formativo è facoltativo – lamentano i precari Cgil – e non c’è più alcun vincolo alla conferma di una quota parte degli apprendisti come condizione per assumerne altri. Quindi, l’unica cosa che rimane è la decurtazione salariale e la decontribuzione, a fronte di nulla». Gli imprenditori cioè conservano tutti i vantaggi, e vengono liberati totalmente degli oneri: «Il che ci espone a possibili sanzioni Ue, per aiuti di Stato, come è già avvenuto per i contratti di formazione-lavoro».

Ancora, questi contratti a termine completamente liberalizzati andranno a «fagocitare» sia il lavoro interinale, che costa di più a causa delle commissioni da pagare alle agenzie, sia il «contratto di inserimento a tutele crescenti» che Renzi promette di voler varare con la legge delega.

In questo quadro, però, fare opposizione al governo Renzi, o anche solo criticarlo, è complicatissimo, per almeno due motivi: il primo è l’attacco sferrato dalla stessa politica, «e dai nostri stessi riferimenti culturali e politici, ovvero la sinistra» (leggi il Pd) al sindacato, percepito come «conservatore» e protettore dei «privilegiati», cioè i pensionati e i dipendenti garantiti dall’articolo 18. Il secondo motivo sono gli 80 euro in busta paga, che addormentano, sedano un possibile conflitto.

Una domanda suggestiva, pone Treves alla Cgil: «È un caso che vadano insieme, nell’annuncio del premier, i soldi in tasca e la caduta dei diritti? Quei soldi possono agire come sonnifero? Questo insieme di fatti, scelte decise senza di noi, derivanti da un supposto mandato ricevuto dalle primarie, pone al sindacato il problema di come collocarsi».

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