Il protagonista del nuovo film di Xavier Giannoli, L’apparizione, è un reporter di «Ouest-France» convalescente da un incidente avvenuto durante il suo ultimo reportage in Siria. All’uomo, al quale Vincent Lindon presta il suo volto più affaticato, viene affidata una missione inaspettata. Il Vaticano gli propone di indagare un caso di presunta apparizione miracolosa. Fermiamoci qui. Non è la prima volta che Xavier Giannoli mette in scena il tema della credenza. In À l’origine si trattava di un malfattore che, sbarcato in un villaggio della Sarthe per organizzare una truffa, si appassiona a tal punto alla propria bugia che rischia tutto per realizzarla. Qui la credente è Anna, una giovane figlia di nessuno che sostiene di aver visto la Madonna.

Ora, non è vero, come è stato scritto da alcuni critici, che il film non decide e resta in mezzo al guado – insieme al giornalista il quale non sa se credere alla ragazza (e quindi convertirsi) oppure no. Ma che vuol dire chiedersi se Anna dice o meno il vero ? È noto che il contrario del vero non è la menzogna ma l’errore. Perché la verità è la corrispondenza tra un’idea e la realtà che essa vuole descrivere. Mentre la menzogna è il contrario della sincerità, ovvero della corrispondenza tra quello che si dice e quello che si pensa. Si può in effetti essere sinceri e dire una cosa falsa. Oppure mentire ed affermare una verità.

Di Anna, tutti vogliono sapere se quello che lei dice è vero: ovvero se l’apparizione è reale. Detto altrimenti, se la Madonna esiste fuori di lei come oggetto. Giannoli manda il proprio eroe verso un’altra strada: lui vuole sapere se Anna è sincera. Strano perché un giornalista in teoria si occupa di fatti. Ma la Madonna non è un fatto, non si può né dimostrare né negare. Fatti sono le persone, le loro vite, le loro storie, le quali possono essere viste, raccontate o fotografate.

Anche i film di Giannoli hanno questa qualità propria ai fatti concreti. Essi si oppongono certo alla realtà che descrivono ma come portatori di elementi a loro volta effettivi. Giannoli filma degli oggetti che si possono toccare, sporcare, rompere. È il genere di regista che, se c’è una conversazione su – per esempio – la costruzione di un ponte, vuole consultare degli esperti e se possibile avere, per i ruoli secondari, degli specialisti che recitano il proprio ruolo.

Ovviamente, il cast è soprattutto fatto da attori professionisti. Ma anche in questo caso sceglie sempre degli attori che imprimono allo sguardo della macchina da presa una forte sensazione di solidità. Eppure quello che vuole ottenere, in fondo, è esattamente il contrario. Per questo L’apparizione è stato preso come una riflessione sulla religione e sulla spiritualità. E quindi paragonato a film come Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Oppure ad Europa 51 di Rossellini. Ed è chiaro che da questi confronti L’apparizione esce malconcio.

Ora queste critiche sono ingiuste anche perché qui il progetto è non solo più modesto ma diverso. A Giannoli non interessa la spiritualità cattolica ma l’illusione in generale; ovvero quello al quale si crede non perché si abbiano delle buone ragioni di farlo ma perché si vuole farlo. In questo concetto c’è ovviamente anche la religione. E tutto il film si installa in un contesto religioso. Ma che qui è più un pretesto o un esempio per dire altro. In molte scene si vedono le orde di fedeli in preghiera, che toccano la giovane Anna.

Che cosa avviene nella loro testa? Per Giannoli, qualcosa di non molto diverso da quello che accade quando si vede un film o un match di wrestling: dove ci si appassiona ad uno spettacolo che con molta probabilità è falso, ma nel quale si decide di credere. Da cui la simpatia che il regista dimostra per quelli che inventano o creano una bella storia. Resta il fatto che tutto il contesto in cui l’inchiesta si muove sembra un pretesto. Ed è il paradosso di questo cinema : al tempo stesso preciso e sfocato. Insomma, un’apparizione.