La storia culturale di San Pietroburgo, la città dei tre nomi (Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado), si presta bene alla formulazione del concetto di semiosfera, uno spazio globale generatore di nuove culture, al cui interno Lotman evidenzia l’esistenza di un confine permeabile. Da questa definizione muove l’originale e rigoroso studio di Emilio Mari, Fra il rurale e l’urbano Paesaggio e cultura popolare a Pietroburgo 1830-1917 (prefazione di Gian Piero Piretto, Universitalia, pp. 216, € 18,00) che, evidenziando nel «confine» fra centro e periferia, lo spazio in cui nasce nell’800 una cultura «bassa», che sarà alla base di alcune delle idee e delle pratiche delle avanguardie, rende conto di un ambito finora poco studiato. L’individuazione di uno spazio pubblico in Russia, con funzioni analoghe a quelle occidentali, è stata finora applicata al solo XX secolo, alla città sovietica e post-sovietica, trascurando il secolo successivo, che rende possibili i successivi sviluppi. Molto è stato scritto su San Pietroburgo, fondata nel 1703 da uno zar folle e geniale allo stesso tempo, in un contesto eccentrico rispetto al resto del paese, e sulla cosiddetta letteratura pietroburghese, cui Vladimir Toporov ha dedicato una serie di studi ormai classici.

Meno si è detto sul fatto che Puškin, Gogol’, Dostoevskij, fra gli altri, evidenzino l’esistenza di quartieri periferici e suburbani intorno al monumentale centro cittadino, portando i loro eroi dal Nevskij Prospekt fino a Kolomna, a Vyborg, all’Isola di Vasilij se non addirittura alle isole. Evgenij, il protagonista del poema Il cavaliere di bronzo di Puškin, in cerca della fidanzata, si sposta da Kolomna a Vyborg, Akakij Akakievi perde il suo cappotto nelle strade remote dell’isola di Vasilij e Raskol’nikov, abbandonata la famigerata piazza del Fieno, trova sollievo solo nelle isole. Pietroburgo cresce a dismisura e disordinatamente nel corso del XIX secolo e, come ci mostra Dostoevskij in Delitto e castigo, non era più solo la capitale dei ministeri e dei palazzi nobiliari ma una città proto-industriale.
I sobborghi operai si sviluppano in modo caotico, senza alcun vero piano urbanistico (al contrario di quanto avvenuto sotto Pietro I), fra fabbriche e abitazioni rimangono disordinatamente degli appezzamenti vuoti, residuo del mondo rurale, dove si fa strada una cultura ibrida, con componenti popolari, folkloriche ma anche paraletterarie.

Vengono aperti spazi culturali, i Parchi della cultura, le Case del Popolo, qui meticolosamente ricostruite, che hanno avuto un ruolo vitale nel processo di acculturazione delle masse operaie. Accentrando il proprio interesse sulla letteratura popolare, lubok, romanza, stornello, canovaccio teatrale, Mari segnala l’emergere di una cultura che rispondendo alle esigenze dei nuovi strati di popolazione progressivamente entrati a far parte del tessuto urbano, conferisce dignità letteraria alla quotidianità del proletariato. Il paesaggio industriale, qui rappresentato con immagini pittoriche, litografie, illustrazioni, riproduzioni fotografiche di scorci inediti, presenta un volto inedito di Pietroburgo, lontano dall’iconografia tradizionale. I prospetti di progetti architettonici, le mappe, la ricchissima bibliografia, accrescono lo spessore di questo studio che, ricostruendo lo spirito dei luoghi e il valore storico degli avvenimenti, valorizza la memoria storica.