Nelle ultime 24 ore sono morte 78 persone di Covid e sono stati segnalati 397 nuovi casi positivi. L’aumento degli infetti – il giorno prima erano stati 300 – dipende dal numero dei test effettuati, risaliti a quota 57 mila. Più test si fanno e più casi si rilevano, ma questo dimostra che esiste uno zoccolo duro di casi che sfugge ai controlli.

Per capire quale percentuale della popolazione italiana abbia finora contratto il coronavirus Sars-Cov-2 bisognerà attendere il risultato dell’indagine sierologica sulla popolazione iniziata ieri. Lo screening ricercherà gli anticorpi contro il coronavirus in un campione di 150 mila persone scelto dall’Istat e dall’Iss.
Gli operatori della Croce Rossa hanno già iniziato a contattare i cittadini inclusi nel campione. Nella prima giornata, su 7300 persone solo il 25% ha acconsentito al prelievo. Le altre hanno chiesto tempo, mostrando una diffidenza che preoccupa gli operatori. «Se ricevete una chiamata dal numero che inizia con 065510 è la Croce Rossa Italiana, non è uno stalker, non è una truffa telefonica, ma è un servizio che potete rendere al vostro Paese attraverso un piccolo prelievo venoso», ha detto il Presidente della Croce Rossa Francesco Rocca.

L’indagine farà chiarezza sulla reale estensione dell’infezione. Le cifre ufficiali parlano di circa 230 mila casi positivi ma il numero reale di infetti è certamente molto maggiore, tenendo conto delle infezioni asintomatiche e della penuria di tamponi. Secondo la fondazione Gimbe, le regioni potrebbero aver adottato «comportamenti opportunistici» per minimizzare le dimensioni del contagio e accelerare l’uscita dal lockdown.

Annunciata sin dal mese di marzo, l’indagine arriva in ritardo. Molte regioni hanno già effettuato studi analoghi e l’indagine Istat/Iss, più accurata, potrebbe smentirli con una prevedibile scia di polemiche. Inoltre, in molte regioni i cittadini hanno iniziato a far da sé visto che i test sierologici sono ormai disponibili a tutti in strutture pubbliche o private. Per la sanità privata è un ottimo affare: il prezzo consigliato dalle regioni è di 15,23 euro, ma nei laboratori privati oscilla tra i 35 e i 70 euro.

Per la verità, il Comitato tecnico scientifico sostiene da sempre l’inutilità dei test sierologici ad uso individuale e non statistico. «Il risultato qualitativo ottenuto su un singolo campione di siero non è sufficientemente attendibile», avevano scritto gli esperti in una circolare già il 4 aprile. Lo ha ribadito l’epidemiologo Alessandro Vespignani intervistato da La7: «Anche con una specificità del 99%, con l’attuale prevalenza del virus in Italia la probabilità che un risultato positivo sia falso è del 50%, come tirare una monetina». Con i dubbi sull’accuratezza, e senza notizie certe sull’immunità acquisita, la positività al test sierologico non fornisce alcun «patentino di immunità». Inoltre, l’esito positivo obbliga a sottoporsi al tampone. Con l’effetto collaterale di sottrarre preziosi tamponi all’attività di sorveglianza epidemiologica.

Eppure, il mercato dei test sierologici è fiorente. L’ansia di conoscere il proprio status virologico è comprensibile e il business sanitario ne approfitta. «Facciamo 600 test al giorno», spiega al manifesto Luca Foresti, amministratore delegato del Centro medico S. Agostino, una rete di una ventina di ambulatori privati distribuiti in Lombardia. Anche a Roma, città relativamente poco colpita dal virus, i laboratori privati viaggiano al ritmo di centinaia di test al giorno, raccontano anonimi centralinisti.

Dal canto loro, le autorità sanitarie non sembrano interessate a frenare le speculazioni sulla salute. «In Lombardia le persone possono venire da noi senza prescrizione», spiega Foresti. Nel Lazio l’esame è a carico dell’utente ma è il medico di base a prescriverla con la ricetta “bianca” nei casi in cui serva davvero. «Si tratta di un’analisi del sangue, non si prescrive senza un’adeguata motivazione. È una questione di deontologia», spiega Pierluigi Bartoletti, vicepresidente dell’Ordine dei Medici di Roma. Eppure anche nella capitale molti centri ammettono di eseguirli senza ricetta medica. Con un risultato paradossale: la sanità privata si arricchisce con costosi esami di dubbia utilità, mentre quella pubblica fatica a trovare persone disposte a sottoporsi (gratis) allo stesso esame per scoprire quanto si è diffuso davvero il virus.