Teorici e movimenti, a volte con sbagli e ricalibrature, stanno definendo il rapporto tra pandemia e capitalismo. Capitalismo in quarantena, Pandemia e crisi globale di Anselm Jappe, Sandrine Aumercier, Clément Homs, Gabriel Zacarias (ombrecorte, pp. 182, euro 13) fa parte di questo lavorio in divenire. Il libro del collettivo redazionale della rivista Jaggernaut mette in relazione gli accadimenti sociali, economici e politici con una riflessione sul rapporto tra capitalismo e condizione pandemica.

LA TESI DI FONDO è che siamo di fronte a una pandemia socio-naturale legata al capitalismo e alla sua crisi strutturale: economica, sociale, ecologica. Il virus – secondo gli autori – non è la causa della crisi globale della società capitalista, ma uno dei suoi acceleratori, che svela le logiche economiche, politiche e di controllo che governano la società.

Sugli stessi sentieri analitici troviamo anche Pandemia capitale di Leonardo Clausi e Serafino Murri (Manifestolibri, pp 304, euro 17) e Lo spillover del profitto. Capitalismo, guerre ed epidemie, curato da Calusca City Lights, con un testo principale di Philippe Bourrinet (Edizioni Colibrì, pp. 142, euro 14). Mentre Pandemia capitale ricompone il quadro di un presente dove il capitale e il valore assestano il colpo di grazia alle risorse umane ed energetiche, tra sfruttamento, collasso ambientale e mercificazione delle identità digitali (con la certezza che «non possiamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema»), il volume di Bourrinet offre un excursus tra le epidemie dall’Antichità ad oggi – l’autore si sofferma sulla Peste nera del XIV secolo e sulle nuove pandemie che approfittano della crisi del sistema sanitario capitalista – e coglie la necessità del conflitto nella costituzione del modo di produzione dominante, svelando le connessioni tra guerra e governance, tra produzione industriale, guerra chimica (anche contro l’ambiente) e guerra tecnologicamente «evoluta» che segnano il destino di milioni di persone. Anche gli autori di Capitalismo in quarantena leggono la pandemia e i relativi interventi pubblici guardando alla crisi, al rapporto capitale/Stato e al ruolo delle politiche pubbliche nella gestione dei processi in corso.

SI TRATTA PERCIÒ DI TRE LIBRI che offrono spunti fondamentali per analizzare il presente e trovare pratiche politiche agibili, ma forse non insistono abbastanza sul collegamento tra problema ecologico e Covid.
Sul manifesto del 4 agosto scorso («Capitalismo e pandemie: il rapporto rimosso»), Roberto Ciccarelli ha centrato il problema segnalando che la rimozione della relazione tra ambiente e capitalismo ha caratterizzato sia gli intellettuali che sono intervenuti sul rapporto tra libertà dell’individuo e potere dello Stato, sia gli Stati e le istituzioni sovranazionali. Non sono state infatti indagate «la politicità del virus e la rete delle cause che lo hanno prodotto: il capitalismo dell’agribusiness, la deforestazione e le monoculture animali che favoriscono i salti di specie da animale a uomo e hanno generato la famiglia dei coronavirus di cui il Covid è uno dei più pericolosi». Le pandemie sono collegate ai circuiti del capitale che stanno cambiando le condizioni ambientali e mutando le forme del governo. In questo contesto è «la critica dell’economia politica (che) permetterebbe di dare concretezza alla ricerca delle alternative a un sistema che continuerà a produrre eventi catastrofici globali».

UN INVITO INDIRETTO a tenere assieme le analisi degli autori di impostazione marxista e quelle dei teorici che sottolineano l’importanza della questione ecologica. Proprio come fa la casa editrice ombrecorte che ha recentemente ripubblicato un testo seminale come L’imbroglio ecologico di Dario Paccino e lo ha inserito nell’ambito di un’attenzione editoriale per autori che riflettono sulle questioni ambientali, come Jason W. Moore, Dipesh Chakrabarty , James O’Connor, Razmig Keucheyan. È proprio con questa intelligenza sincretica che si possono trovare le proposte efficaci per il futuro.