Immersa nel susseguirsi di storie, nature e paesaggi che hanno plasmato le sue molteplici, composite, cangianti diversità, tramite ed eco del loro irradiarsi per i numerosi mari che la incrociano, sta, perno nel Mediterraneo, la sua isola più grande.
Epitome del rincorrersi di quei molti Mediterranei, emerge con il suo frastagliarsi in tante Sicilie diverse, per altimetrie e morfologie, fisionomie, caratteri e predilezioni, come un aspro, delizioso, conturbante giardino che risulta di tante conviventi diversità in cammino.
Pure, tutte accomunate dalla lunga aridità estiva e, in una variabilità climatica di picchi estremi, nel girare del vento e della luce accecante, nell’inalberarsi dei profili di monti e scogliere, nel convergere e variare di paesaggi di rocce e gessi con quelli delle tradizioni e delle scienze agronomiche, nell’immobile ondeggiare di colline indorate dal grano come nel rigoglio dei margini dei giardini fruttiferi, nella varietà di spine, siepi e profumi come nell’incontro scontro di popoli, tradizioni, culture lungo il distendersi di chilometri di coste chiamate, oltre i confini e i conflitti, a mescolare e connettere, trasferire merci, idee e saperi.
Così, tra varietà e mutevolezza, nei contrasti e nella convivenza di diversità tra loro estreme, si costituisce l’identità plurale di quella Sicilia mediterranea che, come per l’accrescimento del tronco dell’olivo – suo rilevatore ecologico e costante contrassegno simbolico – per via del riprodursi continuo di gemme avventizie, procede negli anni e nei secoli, nella torsione di singolarità indistinguibili in successione.
A narrarci di queste commistioni di asprezze e consonanze, disegnando come in un portolano di approdi e cimenti una cartografia fitta di relazioni, debiti, incroci (e scontri), Giuseppe Barbera esplora ora le diverse tessere di quel mosaico che costituisce Il giardino mediterraneo Storie e paesaggi da Omero all’Antropocene (il Saggiatore, pp. 282, euro 22,00, con un inserto fotografico di Margherita Bianca).
Che sia la vicenda del paesaggio delle grotte e delle coste dello Zingaro, con la sua grande biodiversità di mille erbe effimere che prima del secco si affrettano ad andare a seme (finalmente protetta con l’istituzione della Riserva), o quella della varietà e dell’ininterrotta produzione del «giardino mediterraneo» per antonomasia dell’antica Alesa, sulle coste del Tirreno, di Maredolce o dei recuperati giardini fruttiferi della Kolymbethra nella Valle dei Templi.
Da appassionato scrutatore di paesaggi e scrittore facondo di colture arboree – e delle culture che le ospitano e se ne nutrono –, Barbera inanella considerazioni esito di molteplici lenti e curiosità in un’ininterrotta interrogazione di testimonianze convocate a moltiplicare e collegare punti di vista e linguaggi: dagli echi dell’Odissea alle testimonianze di Diodoro Siculo, dalle indicazioni di Plinio ai bagliori accesi nel verso dei poeti siciliani in lingua araba, dalle visioni evocate da scritti e disegni dei viaggiatori del Grand Tour al realismo ottocentesco dei popolari dipinti del palermitano, «ladro del sole», Francesco Lojacono. E poi via via, Pirandello, Quasimodo, Sciascia, ma anche il Goethe del paradossale «deserto di fecondità» delle colline interne nei pressi di Caltanissetta, il Bernard Berenson dell’apparizione dell’Etna, il Cesare Brandi, che del paesaggio pantesco scrive come di un lavoro «fissato con un’opera più di giardinaggio che di agricoltura».
Con un’evidenza flagrante, le diverse geografie dei luoghi – rilette all’indietro, fin dalla loro più remota evoluzione geologica – si tengono insieme così, nel giardino del Mediterraneo, con le storie della loro continua riscrittura, nel mutare nella percezione dello sguardo interiore che li coglie, fino all’oggi. Tra paesaggi a terrazza e latifondi senza orizzonti della Sicilia interna, bianche fioriture di mandorli sullo sfondo della Valle dei Templi e coltivazioni in interstizio tra la lava dell’Etna o nelle pantesche torri di pietra attorno al giardino che è lì ogni singolo agrume. Ma, anche, tra la selva di raffinerie presso coste cementificate e gli sfregi del sacco edilizio, lo stridere di migrazioni e squilibri ambientali con cui misurarsi, nella lezione appresa, in rinnovati paesaggi futuri.