Domani inaugura anche la Settimana della Critica, la rassegna indipendente curata dall’associazione dei giornalisti cinematografici svizzeri, da un paio d’anni affidata a Marco Zucchi. Caratteristica della sezione è quella di scegliere solo tra i documentari, scelta che è sempre stata premiata dal pubblico, disposto a lunghe attese in coda pur di poter accedere alle proiezioni. Il tratto che balza all’occhio scorrendo il programma di questa edizione numero 29 sono gli incroci di culture differenti. Forse anche per caratteristiche intrinseche al documentario perché solo un paio di titoli si occupano di questioni specifiche del proprio paese. Si tratta di Le temps de forêts di François-Xavier Drouet sugli scenari della selvicoltura francese che determinerà il paesaggio di domani, e non solo il paesaggio.

E di Dani Iudila del croato Damian Nenadie che racconta di Maja e Mladen due persone che soffrono di disturbi mentali, non si ritengono però malati, nonostante vengano fatti imbottire di farmaci. Tutti gli altri invece affrontano questioni che spaziano. La svizzera Barbara Miller ha puntato su Female Pleasure, seguendo delle donne in diverse parti del mondo mettendo in relazione il loro rapporto con la sessualità e la religione.

Dall’Ungheria, il cui governo non brilla per apertura nei confronti dell’immigrazione, ecco Könny leckék (lezioni facili) che ha per protagonista Kafia, un’adolescente somala che studia per imparare l’ungherese e questo è il pretesto che illumina la sua storia passata, presente e futura.

Georgina Barreiro viene invece dall’Argentina, ma il suo film, La huella de Tara, è invece ambientato dall’altra parte del mondo, a Khechuperi, un villaggio sacro dell’Himalaya dove vivono i quattro fratelli, cuore della storia, in bilico tra tradizione e globalizzazione. Un altro regista svizzero è Nicolas Wadimoff che per L’Apollon de Gaza, parte da una statua di Apollo di oltre duemila anni fa, rinvenuta nella zona di Gaza e poi scomparsa. In realtà l’inchiesta sulla sparizione è l’occasione per affrontare il quotidiano di un territorio che paga ancora il suo tributo alla guerra e al blocco che ne determina le condizioni di vita. Infine Zanani ba gushvarehaye baruti film iraniano di Reza Farahmand che si è piazzato alle costole della giornalista irachena Noor Al Helli, da tempo impegnata a scrivere articoli sulla lotta intrapresa da donne e bambini siriani e iracheni contro l’Isis. Un’indagine non esente da rischi che cerca di cogliere le radici di un fenomeno che vede ragazzi giovanissimi disposti a immolarsi per la causa del radicalismo.