Di cornici oggi se ne trovano poche nell’arte; sono migrate nel turismo. Aziende di promozione del territorio e tour operator devono avere in mente precisi bisogni del consumatore quando vendono mete immerse in una «cornice incantevole», «mozzafiato», «da sogno». Che senso ha la cornice per l’essere umano?
La cornice. Storie, teorie, testi, a cura di Daniela Ferrari e Andrea Pinotti (Johan & Levi, pp. 232, euro 24), è un buon punto di partenza per riflettere sui legami di questo tipo di segno con la nostra corporeità. Il volume presenta i principali contributi alla comprensione della cornice. Sociologia, storia dell’arte, psicologia, filosofia, semiotica, fin dalla pubblicazione del saggio di Georg Simmel, nel 1902, le hanno conferito valore semantico ed estetico autonomo: di separazione/connessione all’opera (Simmel), di trampolino dal reale all’irreale (José Ortega y Gasset), di strutturazione dei centri dinamici e dei pesi che essa mantiene in equilibrio (Rudolf Arnheim), di una mancanza, dentro l’opera, costitutiva dell’opera stessa e che è l’atto dell’osservazione (Jacques Derrida), di veicolo di senso (Meyer Schapiro), di mostrazione dei poteri di far sapere e far credere (Louis Marin), di mediazione paradossale con lo sguardo, che ha dato adito a retoriche raffigurative con vari gradi di soppressione e aggiunta (Gruppo μ), di indagine sulla rappresentazione, a confronto con dispositivi di inquadratura come la nicchia, la porta, la finestra (Victor Stoichita). Nessun dubbio che il Novecento sia stato il secolo in cui la cornice è diventata un esplicito «oggetto teorico», scrive Pinotti, proprio nel momento in cui le avanguardie cominciavano a metterla in discussione.

I movimenti d’avanguardia hanno discusso e contestato però non la cornice in sé, ma l’idea che separasse la vita «reale» dall’arte «irreale». Una frontiera disforica che ha indotto gli artisti a chiarirne la presenza nel quotidiano e ad esplorarne gli orizzonti. Così, con le nuove forme offerte dall’arte, la cornice si è mutata sistematicamente da limite in soglia ed è emersa fuori dal discorso artistico, come concetto che ha a che fare in generale con la visione delle cose: è stata introdotta in assemblage cubisti con effetti di annullamento della frontiera, usata come in fotografia tagliando corpi e oggetti, resa semplice contorno da Pollock, dipinta dai minimalisti Frank Stella e Barnett Newman che ne hanno evidenziato il ruolo di struttura primaria della percezione, rimaterializzata da Giulio Paolini per indicare i processi in gioco nella visione dell’arte.

Daniela Ferrari ricostruisce cronologicamente le tappe della storia della cornice. Nota che la necessità di stabilire un campo visivo coincide con «la nascita del segno stesso»: le sporgenze delle grotte di Lascaux e Altamira nelle pitture rupestri. Esempi di cornici come bordura dipinta si ritrovano in Egitto, in Grecia, a Roma e inquadrano l’impaginazione geometrica delle miniature medievali. Spazi «sacrati» per porre «barriere viste con la coda dell’occhio» (Gombrich), ma viceversa e ancor di più per inscrivere perimetri umani nei territori: Roma è stata leggendariamente fondata da un’incorniciatura, dalla traccia, selettiva e ingiuntiva, decisa da Romolo.

La studiosa racconta poi l’evoluzione della cornice materiale: da supporto ricavato dalla tavola lignea, ribassando la superficie e ottenendo un bordo rialzato, a struttura separata dall’opera, con elementi architettonici come colonne, pilastri, architravi. Fino alla cornice rinascimentale «a tabernacolo» che realizza l’antico topos, poi teorizzato dalla prospettiva albertiana, del quadro «finestra aperta sul mondo». Il suo valore, anche economico, pare superasse quello delle scene dipinte, com’è stato per l’altare, perduto, della seconda versione della Vergine delle rocce di Leonardo.
Nel tempo le oscillazioni del gusto hanno causato sostituzioni delle cornici o scellerate uniformazioni, per conferire armonia all’accrochage di una collezione. Resta il monito di Jacob Burckhardt, che ai fotografi incaricati di riprodurre i dipinti raccomandava di includere le cornici. Una pittura scissa dalla sua delimitazione è come un paesaggio visto da nessuno.