In Campania il Pd attende l’esito della guerra in corso a Roma per capire come riposizionarsi. Il quadro locale non è confortante. L’ultimo tassello lo ha fornito ieri il consigliere regionale Antonio Marciano, che ha diffuso via social i dati del tesseramento che si chiuderà tra 10 giorni. L’ultima rilevazione, aggiornata a martedì scorso, conta mille tessere ad Avellino e Caserta, 986 a Benevento, 1.980 a Napoli e 4.676 a Salerno, feudo del governatore Vincenzo De Luca. Nel 2015 i dati finali sono stati: 7.445 ad Avellino, 4.287 a Benevento, 4.500 a Caserta, 10.667 a Salerno e 20.398 a Napoli. La maggior parte delle sottoscrizioni arrivò nell’ultima settimana.

Tra il 2016 e i primi mesi del 2017 il Pd partenopeo ha collezionato un’inchiesta sui presunti brogli ai gazebo delle primarie, un’altra relativa alla candidata dem (poi eletta in consiglio comunale) Anna Ulleto accusata di voto di scambio fino alla Listopoli sui candidati inseriti a loro insaputa, con tanto di firme false, nella civica dell’aspirante sindaca Pd Valeria Valente, procedimento che conta due indagati (Salvatore Madonna e Gennaro Mola, compagno di Valente). Le vicende giudiziarie hanno fatto nascere dubbi anche sul tesseramento, secondo molti gonfiato. Sabato scorso, all’assemblea del Pd provinciale di Napoli, Antonio Bassolino ha commentato: «Organizziamo il congresso, apriamoci ad altre forze, ma stiamo attenti. Io non ne so nulla, ma per le tessere siamo sicuri che non siano come le firme false?».

Tanti circoli chiusi e partito commissariato in molti centri della Campania, a cominciare da Caserta dove è stato spedito il milanese Franco Mirabelli. Ad Avellino è in carica un direttorio, a Castellammare di Stabia c’è un facilitatore, il viceministro Gennaro Migliore. Cambiano le formule, resta il fatto che il partito è in crisi e va riorganizzato ma la segreteria di Matteo Renzi si è contraddistinta nell’ultimo anno per un unico imperativo: andare avanti. Aveva promesso il lanciafiamme dopo il misero 11% raccolto dal Pd alle comunali di Napoli ma non è successo niente perché ci si doveva buttare sul referendum. I circoli sono finiti in soffitta, in regione sono arrivati i maghi della comunicazione renziana, avrebbero dovuto galvanizzare il consenso e invece il Sì ha raccolto nove punti in meno della media nazionale.

Graziano Delrio ieri si è fatto scappare che Renzi non ha chiamato la minoranza per ricucire? Niente di nuovo: per due anni si è rifiutato di parlare con il sindaco di Napoli, avendo ingaggiato una prova di forza sul commissariamento di Bagnoli. Ieri a Caserta il ministro Andrea Orlando ha sottolineato: «Lavorerò fino all’’ultimo minuto per evitare la scissione del Pd» ma i cocci vanno rimessi insieme anche nei territori.

Napoli dovrebbe andare verso un congresso provinciale straordinario chiesto ripetutamente dalla minoranza ma l’iter non è stato ancora avviato: sabato scorso è mancato il numero legale. Il segretario in carica, Venanzio Carpentieri, è stato sfiduciato dai consiglieri comunali perdendo così la carica di sindaco di Melito, gli resta l’appoggio di Lorenzo Guerini a Roma e del consigliere regionale Raffale Topo. Mario Casillo, consigliere regionale di fede lottiana, ha chiesto l’azzeramento di tutti gli incarichi, a cominciare da Valente (capogruppo Pd al comune e parlamentare in quota Matteo Orfini). Questo però rimetterebbe in gioco anche la segreteria regionale affidata ad Assunta Tartaglione, parlamentare della stessa area di Casillo.

Sotto traccia c’è la lotta per le candidature alle politiche, il rischio immediato è che a occupare ogni spazio in Campania sia Vincenzo De Luca: dopo la batosta al referendum e la conseguente freddezza di Renzi, ha riaperto i canali di comunicazione con l’ex premier accreditandosi come l’anti Michele Emiliano. La ricetta di De Luca è semplice: una campagna elettorale giocata sulla promessa di 200mila posti di lavo-ro al Sud nella Pubblica amministrazione.