Perché i sistemi di allarme non hanno funzionato? La Procura di Milano indaga per omicidio colposo plurimo, i colleghi dei lavoratori morti non riescono a spiegarselo cosa possa essere successo e perché, parlano di un’azienda attenta alla sicurezza sul lavoro. Dove la manutenzione delle macchine veniva fatta regolarmente e non c’erano mai stati incidenti.

QUALCOSA martedì pomeriggio non ha funzionato. Il responsabile di produzione, Arrigo Barbieri, chiama l’elettricista esterno, Marco Santamaria che interviene quando ci sono problemi elettrici. I colleghi non sanno perché sia stato chiamato. I due scendono la scaletta che porta all’area dove si trovano i forni. È uno spazio a due metri di profondità dove gli operai possono muoversi all’esterno dei forni che riscaldano l’acciaio. Si sentono male, cadono a terra. L’aria è satura di gas, di azoto secondo l’ipotesi della Procura. La sostanza è usata per raffreddare i forni e pulirli. I due perdono i sensi. Giancarlo Barbieri, fratello di Arrigo, si accorge della situazione, urla «aiuto, aiuto» e scende nell’area per aiutare i colleghi. Dietro di lui Giuseppe Setzu. Arrigo, Marco e Giuseppe moriranno poco dopo all’ospedale, Giancarlo è ancora ricoverato in gravissime condizioni.

ALTRI DUE LAVORATORI accorsi per aiutare i colleghi restano in cima alla scala, si sono sentiti male e sono stati ricoverati con un codice giallo. Il primo vigile del fuoco che scende la scala e si avvicina ai corpi a terra degli operai rimane a sua volta leggermente intossicato. Gli operai coinvolti nell’incidente non indossavano maschere protettive; le indagini dovranno dire se avrebbero dovuto indossarle o no; cosa prevedeva la valutazione dei rischi aziendale; se l’azienda le aveva in dotazione; se il sistema di ricambio dell’aria era funzionante; se l’azoto ha saturato l’aria togliendo l’ossigeno, le maschere non avrebbero potuto fare nulla.

GLI INVESTIGATORI dovranno verificare perché i sistemi di allarme che si dovrebbero attivare in caso di fuoriuscita dell’azoto non abbiano suonato e non abbiano bloccato la fuoriuscita, da chiarire anche il motivo dell’intervento nell’area dei forni, perché l’elettricista fosse lì, che intervento stavano facendo. «Noi non lo sappiamo. Io ho salutato l’elettricista e ho visto che si dirigeva verso l’area dei forni ma solo Arrigo sa perché lo aveva chiamato» dice dice Riccardo Prandi, uno dei lavoratori.

IL FORNO USATO è di produzione austriaca, marca Ebner, revisionato ogni anno dai tecnici della casa produttrice. Una recente ispezione, raccontano i lavoratori, era stata fatta due settimane fa. «Io stavo lavorando in un altro reparto e ho sentito urlare aiuto, aiuto» ci racconta un altro lavoratore, Vito. «Ho visto i miei colleghi a terra, non c’era ossigeno, non ho sentito odori e non ho sentito l’allarme». Vito lavora da novembre alla Lamina. «Erano belle persone, scherzavamo, discutevamo, mai avrei pensato a una cosa simile. Io sono di un altro reparto e non so come funzionano quelle macchine». Ora l’azienda è sotto sequestro. «Noi finiremo in cassa integrazione e poi chissà» dice Vito. La Procura di Milano ha disposto le autopsie sui corpi dei tre operai morti. I magistrati indagano sul malfunzionamento dei sensori che avrebbero dovuto dare l’allarme per la fuoriuscita dei gas. Sono forni con campane che si alzano. L’azoto potrebbe essere uscito in modo anomalo senza che i sensori rilevassero l’anomalia.

DOMANI IN LOMBARDIA ci sarà un’ora di sciopero proclamato dai sindacati metalmeccanici. Due ore a Milano. Ci sarà una manifestazione alle 15.30 da piazza San Babila fino alla prefettura. I sindacati hanno chiesto di incontrare il prefetto Luciana Lamorgese. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala proclamerà il lutto cittadino il giorno dei funerali e ha chiesto al prefetto «un tavolo molto operativo e non retorico con tutti gli enti che possono dare un contributo, come i sindacati e l’Inail per rafforzare i controlli preventivi». In Lombardia da gennaio a novembre 2017 sono stati 127 i morti sul lavoro. «Quanto ai rischi» spiegano i sindacati «sul territorio ci sono circa la metà delle aziende considerate pericolose in base ai criteri previsti dalla Direttiva Seveso».