Era pronto per il gran salto. I manifesti e i santini erano già sul tavolo. A meno di cento giorni dalle elezioni regionali dell’11 aprile Giuseppe Idà affilava le armi per la prossima battaglia elettorale.

A queste latitudini i centristi hanno da sempre un buon gruzzolo di voti. Idà, non ancora quarantenne, è uno dei rampanti in quell’area popolare e neodemocristiana che lo aveva portato alla carica di vicesegretario regionale Udc nel 2015. Idà era poi diventato sindaco di Rosarno nel giugno del 2016 a capo di una lista civica, ottenendo un risultato lusinghiero, con oltre il 57,7%. Aveva preso il posto di Elisabetta Tripodi, stimata amministratrice dem, il cui mandato era terminato anzitempo per problematiche squisitamente politiche.

Dall’alba di ieri Giuseppe Idà il sindaco lo farà agli arresti domiciliari. Il suo nome è quello più altisonante nell’ennesima operazione che si abbatte sulla politica reggina per presunti rapporti con le cosche di ‘ndrangheta: 49 arresti (30 in carcere e 19 ai domiciliari) in otto regioni e venti città. Con accuse a vario titolo: associazione di stampo mafioso, scambio elettorale politico mafioso, tentato omicidio, detenzione illegale di armi, usura, procurata inosservanza di pena.

A Rosarno, secondo le indagini, comandavano i «diavoli». Sono i Pisano che dalle carte dell’inchiesta Faust emerge che avessero le mani in pasta un po’ ovunque. Usura, estorsioni e traffico di droga. Ma non solo. Gli inquirenti della Dda di Reggio Calabria avrebbero ricostruito la rete a maglie strette che, secondo l’inchiesta, legava la cosca al sindaco e alla giunta.

Ci sarebbe stato un legame diretto tra Idà e il boss Ciccio Pisano. Un reciproco e continuo scambio di opinioni e vedute tra loro. A partire dalla formazione delle liste, passando per il logo «civico» scelto da entrambi. Fino ai post da pubblicare in rete.

Anche la prima uscita pubblica dell’aspirante sindaco, poi eletto, sarebbe stata concordata con la cosca fino a qualche minuto prima, «persino nei dettagli grammaticali», spiega il procuratore aggiunto Gaetano Paci, che insieme alle pm Sabrina Fornaro e Adriana Sciglio ha curato l’indagine. Il boss sarebbe stato così il vero stratega delle elezioni.

«Abbiamo assistito – ha sottolineato il procuratore della città dello Stretto, Giuseppe Bombardieri – all’ingerenza dei ‘diavoli’ nella predisposizione della lista, del simbolo e persino del programma elettorale. In paese emergeva un collegamento chiaro tra i Pisano e il candidato sindaco. C’era una piena consapevolezza dell’appoggio criminale che veniva non solo accettato ma nasce prima. Non stiamo parlando di promesse generiche ma di promesse determinate. C’era una compenetrazione strettissima del rapporto sin dalle origini».

Una pagina triste, dunque, per la Piana di Gioia Tauro. In queste lande fino a pochi decenni fa sventolavano le bandiere rosse e i sindaci erano alla testa delle lotte bracciantili e dei movimenti sociali antimafia. A partire da quel sindaco comunista che ha fatto la storia di Rosarno. Ha 83 anni. Si chiama Peppino Lavorato. Tutta un’altra storia.