Neanche in una scenografia da teatro barocco si sarebbero visti tre arcobaleni come all’inaugurazione del ponte San Giorgio, il nuovo viadotto di Genova. Il maltempo non ha solo concesso una tregua al momento ma ha regalato il più classico simbolo di buon auspicio.

Tuttavia «non c’è nulla da festeggiare», pensano in molti, a Genova. Il nuovo ponte è su, pronto – una volta che saranno smontati palchi e gazebo – per le auto dei vacanzieri, per i camion diretti in porto, per i genovesi che si devono spostare da una parte all’altra della città ed è bellissimo e perfetto. Ma non si può dimenticare il contesto. Un contesto che vede Genova e la Liguria alle prese con un gap infrastrutturale di cui il viadotto mancante era solo la punta dell’iceberg, un contesto che vede i quartieri periferici alle prese con una crisi post industriale che non finirà grazie a quella cerniera in calcestruzzo e acciaio, un contesto di garbugli per cui, di fatto, il ponte, almeno per un po’ sarà ancora nelle mani dei Benetton, e un contesto inevitabilmente altrettanto intricato, quello dell’inchiesta sul crollo del Morandi. Ma soprattutto non si può dimenticare, come ha più volte ribadito Egle Possetti, presidente del comitato Ricordo vittime di ponte Morandi, che «questo ponte meraviglioso è stato costruito perché ne è crollato un altro».

UNA DELEGAZIONE del comitato, prima dell’inaugurazione, ha incontrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Non vogliamo che tutto finisca con questa ubriacatura di felicità, il dolore e le ferite si leniscono con la giustizia e noi non abbiamo più fiducia in questo gestore». I familiari delle 43 vittime, come gli ex-sfollati, hanno preferito non partecipare all’inaugurazione, che comunque – grazie al loro intervento e a quello del capo dello Stato – ha perso i toni da kermesse estiva che si erano prospettati (nei mesi scorsi si era parlato di pop star e di Amadeus a condurre la serata). Negli ultimi giorni hanno dovuto ingoiare l’ennesimo boccone amaro, dopo la mancata “revoca”, anche i ritardi nel passaggio di parte delle quote di Aspi dalla famiglia Benetton. L’impressione che nulla sia cambiato rispetto al 14 agosto del 2018 disegna una riga di sconforto sui volti di chi chiede che siano accertate al più presto le responsabilità di quanto accaduto. E quel giorno non sarà domani: l’inchiesta per omicidio colposo plurimo e disastro colposo portata avanti dalla Procura di Genova, ne ha fatte nascere altre tre, tutte concentrate sulla sicurezza della rete autostradale. Per quanto riguarda l’inchiesta “madre” da una parte la mole ciclopica di reperti, dall’altra i rallentamenti dovuti al periodo Covid, si attende l’autunno per la conclusione del maxi-incidente probatorio e per la consegna della perizia sulle cause del crollo. Il processo vero e proprio non inizierà che a dicembre.

PER CAPIRE lo stato d’animo dei genovesi, nella giornata dell’inaugurazione, bisogna spostarsi una manciata di chilometri a ovest rispetto al tratto dell’autostrada A10 che inizia, appunto, con il ponte. Dove ieri sono stati riaperti i caselli di Pegli e Pra’. Erano chiusi da settimane nell’ambito dei cantieri di Aspi per le ispezioni nei tunnel imposte dal Mit ed erano alla base di decine di chilometri di coda, ogni giorno e a ogni ora della notte, per chi dal savonese o dalla Francia, doveva raggiungere il capoluogo ligure. Questo dà l’idea della fragilità della rete viabilistica, al di là di quei 1.067 metri di ponte-nave che sembrano arrivare da un altro pianeta. Ponte nave, “simbolo di unità, di speranza per il futuro” ma che non ha 43 alberi su di sé come erroneamente affermato nel suo discorso ufficiale dal premier Giuseppe Conte. Ne ha solo 18, come sanno bene i cittadini che in questi due anni hanno seguito con lo sguardo la demolizione e la ricostruzione: sono gli abitanti e i commercianti di Certosa, del Campasso, di Sampierdarena.

In molti hanno potuto sfruttare gli aiuti arrivati grazie al decreto Genova o dalle infinite iniziative di solidarietà. Non ci sono più gli stralli a fare ombra sulle loro case, il cui valore immobiliare è oggi ai minimi storici, e dalle finestre possono ammirare i murales realizzati nell’ambito di un progetto di riqualificazione post-Morandi. «Ma pensare che i disegni sui muri significhino la ripartenza della valle è vendere un’enorme illusione», dicono dall’associazione Liberi cittadini di Certosa. Ci sono negozi che hanno chiuso i battenti a un giorno dall’apertura, altri che si sono spenti dopo decenni di attività. Ed è vero che per questa vasta area periferica esiste la promessa del parco urbano, il famoso progetto del “cerchio rosso” di Boeri, ma per ora i finanziamenti riguardano soltanto il primo lotto.

LA PROSSIMA SFIDA del sindaco e commissario Bucci sarà convincere il governo (questo, e i prossimi) che la Valpolcevera andrà sostenuta anche adesso che si sono spenti i riflettori e si sono accese le luci del nuovo ponte.