Esplorare lo spazio non è certo semplice. Sono moltissime le problematiche che si celano dietro ad ogni azione, anche quelle quotidiane: persino respirare, mangiare o andare in bagno sono attività a cui, in assenza di peso, bisogna prestare molta attenzione. Ci sono poi i pericoli a cui possiamo facilmente pensare: le radiazioni, il vuoto cosmico, i detriti spaziali che possono danneggiare le tute durante una passeggiata spaziale o addirittura l’intera stazione spaziale.

Esistono però insidie che non solo sono invisibili a occhio nudo, ma che sono state sottovalutate in realtà fin dall’inizio dell’esplorazione spaziale: i microrganismi. Non quelli di origine aliena. Della loro esistenza – nonostante le recenti e promettenti ricerche su Venere – non abbiamo mai trovato alcuna prova. Il problema vero sono i microrganismi terrestri. I batteri, in particolar modo.

Uno studio del 2016 condotto su 48 ceppi batterici ha mostrato che, sulla Stazione Spaziale Internazionale, la maggior parte di essi può proliferare quanto se non meglio che sulla Terra. Il tutto con possibili conseguenze sulla salute degli occupanti… o della Stazione stessa. Alcuni batteri, infatti, possono corrodere il metallo e mettere a rischio la resistenza di una struttura che già di per sé deve resistere a sollecitazioni estreme.

Ma al momento, sulla Stazione Spaziale Internazionale, i microrganismi vengono testati anche come insospettabili alleati. Alcuni microbi sono grado di estrarre dalla superficie delle rocce minerali quali ferro, calcio o magnesio. I microrganismi possono però anche generare cibo e ossigeno, o riciclare i rifiuti. E, abbiamo detto, sono lavoratori estremamente resistenti, ideali per l’esplorazione spaziale. Un esperimento chiamato Biorock sta indagando su come questi microscopici minatori possano colonizzare una roccia in condizioni estreme. Il sospetto è che la differente percezione della gravità modifichi la capacità dei batteri terrestri di estrarre nutrienti e ossigeno dai minerali. Per questo, grazie all’utilizzo di speciali strumentazioni, i microrganismi saranno testati non solo in assenza di peso, ma simulando un’attrazione gravitazionale pari a quella della Terra e anche a quella di Marte. Per scoprire quanto questi microscopici alleati potranno aiutarci nell’esplorazione del Pianeta Rosso.

Ma le informazioni sulla loro capacità di proliferare su rocce in condizioni difficili potrebbero avere ricadute non solo sulla nostra esplorazione, ma anche sulla nostra ricerca di vita. Una ricerca che sempre più in futuro, e non solo su suolo marziano, compiremo con rover robotizzati radiocomandati a distanza, così da non mettere a rischio la salute di astronauti umani o comunque poter raggiungere ambienti proibitivi. Questi rover sono stati recentemente testati con un esperimento chiamato Analog-1, in cui i paesaggi «lunari» dell’isola di Lanzarote, alle Canarie, sono stati esplorati a distanza da un robot radiocomandato dalla Stazione Spaziale con comandi di precisione. Questi esperimenti, all’apparenza fantascientifici, sono in realtà molto più concreti di quanto possa sembrare.

Da oltre 20 anni la Stazione Spaziale Internazionale rappresenta un avamposto della conoscenza umana, capace di produrre e sviluppare tecnologie informatiche, mediche e civili poi riutilizzate abbondantemente nella vita quotidiana. Uno sviluppo che dobbiamo alla cooperazione internazionale di migliaia di persone che dalla superficie del nostro pianeta o dallo spazio continuano a sperimentare, seguendo la propria curiosità e la voglia di scoperta. Persone come l’astronauta Luca Parmitano, che nella sua ultima missione spaziale (durante la quale è stato comandante della Stazione) ha seguito gli esperimenti Biorock e Analog-1, ma anche studi per lo sviluppo di protesi meccaniche, per la produzione ed il riciclo di acqua o sulla dieta e la salute dei futuri esploratori spaziali. Perché l’obiettivo umano è ampliare sempre più la conoscenza, superando quelli che sono gli orizzonti che ci troviamo davanti. Non a caso, la missione di Luca Parmitano si chiamava Beyond, Oltre. Perché se c’è una caratteristica fondamentale della scienza, è la necessità di essere narrata e comunicata.

* Astrofisico e divulgatore scientifico