Il governo ufficiale yemenita si ostina a non voler negoziare con il movimento ribelle Houthi, ma negozia con un attore ben più pericoloso del conflitto: al Qaeda. Negozia ma non ottiene nulla, perché dopo aver approfittato dei miliziani qaedisti ora non li tiene a bada. È l’ennesimo catastrofico risultato della politica della coalizione anti-sciita guidata dall’Arabia saudita: il braccio più potente della rete islamista, al Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap), è una delle nuove autorità militari e amministrative nel sud dello Yemen.

Il fronte anti-Houthi si ritrova vittima della propria stessa strategia. Seppure la coalizione abbia negato un coordinamento diretto, i miliziani di al Qaeda hanno sostenuto l’avanzata via terra delle truppe fedeli al presidente Hadi nella città costiera di Aden: a luglio, mentre l’esercito governativo riprendeva la città, bandiere nere sventolavano tra le strade liberate dalla presenza Houthi.

Da Aden al Qaeda non se n’è mai andata: i suoi miliziani sono rimasti allargandosi in alcuni quartieri, fino ad arrivare a esporre proprie bandiere su edifici pubblici e stazioni di polizia. Una presenza che preoccupa Riyadh e che si aggiunge alla crescita del movimento secessionista meridionale, altra forza anti-Houthi che ora chiede la propria ricompensa. Preoccupa tanto da aver spinto il governo ufficiale yemenita a negoziare con Aqap per chiederne il ritiro da Aden e l’abbandono delle armi.

I mediatori, membri di tribù locali, hanno tentato di convincere al Qaeda a ritirarsi anche da altre aree nelle province vicine, come al-Houta, capitale della provincia di Lahj, e da Zinjibar, capitale di quella di Abyan (recentemente strappata al controllo Houthi). Niente da fare, al Qaeda non intende piegarsi alle richieste governative e sfida apertamente la coalizione: secondo funzionari anonimi, i qaedisti hanno risposto di voler rimanere e partecipare alla gestione della città, perché hanno preso parte alla sua liberazione.

Al no consegnato ai mediatori fanno da contraltare dimostrazioni di forza per le strade di Aden: gruppi di uomini armati e a volto coperto – scrive il reporter Sami Aboudi sulla Reuters – dettano legge e attaccano supermercati per costringere le cassiere a coprirsi il volto, i campus universitari per non fa studiare insieme ragazzi e ragazze. «Dicono di volere il rispetto della Shari’a – dicono i residenti alla stampa – Normale che accada: qua non c’è governo, non c’è Stato».

Pochi giorni fa sospetti miliziani qaedisti sono entrati nella principale prigione di Aden, ucciso quattro guardie e liberato un prigioniero. Nel mirino ci sono gli ex alleati, le forze fedeli al governo Hadi: tre settimane fa, kamikaze si sono fatti saltare in aria di fronte al quartier generale del governo in città e lunedì un attentatore suicida ha ucciso due soldati ad un checkpoint fuori città. Al Qaeda presenta un conto di sangue a Riyadh che ne ha sfruttato la forza militare pensando di non dover pagare. Per ora gli Stati uniti restano a guardare, forse per l’imbarazzo: un alleato stretto come l’Arabia saudita ha messo in pericolo anni di guerra a distanza, la guerra dei droni, contro al Qaeda, di cui Washington a sempre fatto bella mostra.

Dalla loro i qaedisti non hanno solo una rete globale, ma denaro e sostegno tribale: nella storica provincia orientale di Hadramaut, hanno dato vita negli ultimi mesi ad una vera e propria amministrazione parallela, creando consigli di villaggio insieme alle tribù locali. Forniscono protezione contro lo spauracchio Houthi, in cambio ottengono fedeltà. Un modello nuovo, simile a quello instaurato a Raqqa, “capitale” siriana del califfato, dallo Stato Islamico. Il controllo del principale porto della provincia, Mukalla, gli garantisce il denaro necessario: la vendita del greggio là immagazzinato al mercato nero avrebbe permesso ai qaedisti di incassare sei milioni di dollari.