Il viaggio, il volo, l’itinerario di Paolo Fresu, Daniele Di Bonaventura e Jaques Morelenbaum va da Oy que sera fino all’aria pucciniana Quando m’en vo. Tromba, bandoneon e violoncello si muovono – in una leggerezza colma di significati – nel tempo e nello spazio, tra continenti e culture attraverso una raffinata musica da camera contemporanea.

IL TRIO è in giro per l’Italia e le ultime tappe del suo tour – dopo quella romana, alla Casa del Jazz per la rassegna Summertime 2019 lo ha visto esibirsi a Lecco, Fiesole, Gravina di Puglia e Vieste. Il “camerismo” è, in questo caso, una dimensione raccolta che vede interagire le voci strumentali senza una sezione ritmica e nel libero, policromo intrecciarsi: ora impalpabile, ora denso e materico. Le voci sono molte perché Fresu usa la tromba (a volte con sordina
Harmon), il flicorno e l’elettronica, a tratti con effetti percussivi; Morelenbaum alterna un pizzicato contrabbassistico ad un archettato di estrema bellezza e personalità; Di Bonaventura utilizza il bandoneon ora come un possente organo, ora con suoni minimali. Grande, quindi,
la tavolozza timbrica utilizzata dal trio. Non sono mancati i riferimenti ampi: l’apertura brasiliana si è chiusa con una citazione dell’inno della cilena Unidad Popular (quella di Salvador Allende) e alla figura di Victor Jara è dedicato uno dei bis, il commovente Te recuerdo
Amanda.

IL VIAGGIO ha visto il duo consolidato Fresu/Di Bonaventura aprirsi all’estro, all’esperienza, alla statura di Morelenbaum, uno dei musicisti brasiliani più influenti e importanti degli ultimi decenni. Nel repertorio, infatti c’è stato spazio per diverse anime “latine”: la canzone italiana (Non ti scordar di me, Guarda che luna), le arie d’opera, la canzone sudamericana (Un vestido e un amor, resa immortale da Caetano Veloso proprio con gli arrangiamenti per archi del violoncellista, ripresi ed adattati dal trio; l’uruguiana e festante Se va la murga), un episodio dal francescano Laudario di Cortona. A ciò si aggiungono i contributi autoriali come la romantica Aria libera di Morelenbaum o la suggestiva Calmo di Fresu, che l’ha suonata scendendo in platea. Il pubblico era numerosissimo, trasversale come età e come
gusti, capace di accogliere e seguire i brani in un silenzio raccolto e partecipe, come se ci si trovasse in un auditorium invece che nel bel parco della Casa del Jazz, tra un infuocato tramonto e il frinire delle cicale. A rendere il recital ancor più gradevole hanno contribuito le narrazioni, i racconti dei tre musicisti che al calore e al sentimento della musica hanno saputo accostare quello della parola e la sapienza di una scaletta accorta. Così, nei bis, dopo l’emotività del tributo a Jara, la leggerezza del valzer pucciniano ha stemperato il
tutto, il sorriso dopo il pianto.