Il varo della nuova Commissione europea è in vista, ma ci sono ancora alcuni ostacoli da superare per confermare il voto definitivo il 27 novembre prossimo al Parlamento europeo, per una entrata in funzione il 1° dicembre, cioè un mese dopo il previsto. Sui tre paesi che avevano dovuto ritirare i candidati commissari perché bocciati ad ottobre dal Parlamento europeo, due sono riusciti a far approvare la nuova scelta, Francia e Romania. Mentre per l’Ungheria ci sono di nuovo problemi: il secondo candidato, Oliver Varhely, attuale ambasciatore di Budapest presso l’Ue, entro lunedì deve rispondere alle domande scritte dell’Europarlamento e eventualmente ci sarà una nuova audizione il 18 o il 19 novembre. Varhely è candidato al portafoglio dell’Allargamento, cioè deve occuparsi del rispetto delle regole dello stato di diritto nei paesi candidati ad entrare nella Ue, mentre l’Ungheria di Orban non li rispetta pienamente.

La nuova Commissione sarà più a destra e meno femminile di quanto previsto: il Ppe ha un commissario e mezzo di più rispetto al primo casting del luglio scorso e l’equilibrio uomo-donna è ora sbilanciato per 15 a 12. La Romania, che aveva presentato una prima candidata S&D per i Trasporti, bocciata ad ottobre, nel frattempo ha cambiato governo e ha proposto Adina-Ioana Valean, del Ppe. Il mezzo commissario del Ppe è il francese Thierry Breton, proposto da Macron in sostituzione di Sylvie Goulard, bocciata per ragioni di etica, ma che è stato ministro con Jacques Chirac. Breton ha superato l’esame con difficoltà, a causa di sospetti su rischi di conflitti di interesse tra le attività passate e la carica di responsabile di un importante portafoglio a Bruxelles, che comprende mercato interno, industria, difesa, spazio, digitale. Solo 12 voti a favore contro 11 alla commissione Legal Affairs, seguita dall’approvazione dopo l’audizione all’Europarlamento di giovedi’ (Ppe, Renew, S&D hanno votato a favore), dopo la conferma della vendita della partecipazione nella società Atos (45 milioni di euro).

Ursula von der Leyen ha superato un altro ostacolo: la Gran Bretagna non nominerà nessun commissario, anche se, per rispettare le regole dovrebbe farlo, visto che la nuova data per l’uscita dalla Ue è il 31 gennaio 2020, cioè dopo l’entrata in azione della nuova Commissione. Ma Londra ha invocato una norma nazionale, che impedisce di fare nomine internazionali in periodo di campagna elettorale (la Gran Bretagna vota il 12 dicembre). Per pararsi le spalle da eventuali ricorsi, che potrebbero mettere in discussione la legittimità della nuova Commissione, Ursula von der Leyen ha avviato una procedura di infrazione contro la Gran Bretagna (la regola di un commissario per paese non è rispettata da qualche mese dalla Commissione, Juncker, dove due commissari sono usciti perché eletti parlamentari europei).

Gli inizi sono difficili per la nuova Commissione e i problemi non sono tutti risolti. Dopo essere già stata rimandata di un mese, non è ancora sicura la data del voto, il 27 novembre. E, molto più grave, il risultato non è certo al cento per cento. A luglio, Ursula von der Leyen presidente è passata all’Europarlamento con soli 9 voti di maggioranza. In questi giorni crescono le pressioni sugli «indisciplinati», soprattutto da parte del Consiglio (gli Stati), per evitare che la nuova Commissione entri in carica con una debole legittimità. I tre gruppi che la sostengono – Ppe, S&D e Renew – hanno complessivamente 442 seggi (ma a luglio i voti per Ursula von der Leyen erano stati sono 383, c’erano state molte defezioni, in S&D e nel Ppe e la presidente era passata grazie ai voti dei 5Stelle).

Per convincere i socialisti, la presidente ha cambiato il nome controverso del portafoglio del greco Margaritis Schinas, da «protezione» del modo di vita europeo (che era stato interpretato come una concessione all’estrema destra sulla questione dei migranti) al più consensuale «promozione». Resta il fatto che il nuovo Europarlamento è frazionato e la base politica della nuova Commissione resta fragile. Per limitare l’opposizione, ai Verdi potrebbe andare la presidenza del comitato Itre (industria, ricerca, telecom, energia), oggi in mano al Ppe.