Nonostante le sue innumerevoli fobie e nevrosi, Hans Christian Andersen era un imperterrito viaggiatore. Nella bella introduzione alla autobiografia La fiaba della mia vita (Donzelli, 2015), Bruno Berni racconta che lo scrittore danese era solito portare con sé una lunga fune: in caso di incendio nell’albergo che lo ospitava, sarebbe fuggito via calandosi dalla finestra. Eppure dimostrò anche un notevole coraggio in più occasioni, nei suoi vagabondaggi. Per esempio quando si avventurò su per le pendici del Vesuvio in piena attività, guadando un fiume di lava solidificata . «Passammo su quella superficie che ci scaldava attraverso la suola degli stivali, se la crosta si fosse rotta saremmo sprofondati in una palude di fuoco». L’abisso fiammeggiante che gorgogliava sotto i suoi piedi lo rapì, sconfiggendo la paura della morte.

È lo stupore e il desiderio impellente di intraprendere un viaggio iniziatico verso mondi nuovi che, non a caso, ritroviamo in molte delle sue fiabe. Naviga verso un avventuroso altrove la foglia di ninfea su cui si è posata la minuscola Pollicina, disperata per dover sposare un orribile rospo e poi pronta a sorvolare brulicanti città fra le ali di una rondine; viene da lontano e non riesce a stare in gabbia – se pur dorata – l’usignolo che allieta e salva l’imperatore cinese; abbandona le spumose onde e la sua rassicurante famiglia per salire sulla terraferma la Sirenetta. Sono proprio queste tre le storie raccolte nell’albo appena pubblicato da Terre di mezzo (Fiabe. Hans Christian Andersen, traduzione Eleonora Armaroli, pp. 96, euro 18), che si avvale della magia visiva di Quentin Gréban. L’illustratore belga, classe 1977, con la casa editrice milanese – nata nel 1994 come giornale di strada di migranti e giovani impegnati nel sociale e che oggi continua ad «abitare i confini» guardando ai piccoli e agli ultimi, come dicono dalla sua redazione – aveva già pubblicato Mamma.

Lo scrittore e artista Maurice Sendak, sebbene fosse infastidito dal sadismo «immotivato» dello scrittore danese verso i suoi personaggi (odiava il martirio inflitto a Karen, la protagonista di Scarpette rosse), gli riconobbe comunque una profonda capacità di immedesimazione e uno straordinario potere poetico. La Regina delle nevi possiede quel potere sia per le ambientazioni che per le figure che vi si muovono e anche per l’atavica lotta fra ragione e sentimenti che mette in atto fra i ghiacci. Negli adattamenti teatrali, cinematografici e musicali si è persa la complessità della storia (concepita a scatole cinesi, attingendo anche allo sciamanesimo Sami) ma a rientrare in «sintonia» con il tema della meraviglia aiuta il libro pop up di Lesley Barnes, autrice di Glasgow che ritaglia magistralmente – in un’intervista confessa di ferirsi spesso le dita lavorando alle sue sagome su carta – i «luoghi» del racconto (Mondadori, pp. 12, euro 18).

Un’«antologia» che desta interesse – assai meno famosa delle raccolte andersiane – è poi quella delle favole di Babrio. Lui, poeta di lingua greca (forse un romano ellenizzato vissuto in Oriente, nel sec. III d. C), finì presto nell’oblio. Accadde nonostante il successo riscosso in epoca antica tra scuole e corti, come spiega Eliano Zigiotto nella prefazione della silloge da lui curata e tradotta per Gribaudo (pp.288, euro 14,90). Babrio agisce sulla falsariga di Esopo, trasportandone in versi le novelle, folgoranti e brevissime narrazioni di incontri fra animali e divinità, oppure animali e forze della natura, epifanie da cui trarre insegnamenti preziosi. Disperse nel tempo, le sue favole scritte in giambi – alcune celebri, altre originali – sono state riscoperte in un codice manoscritto custodito in un monastero del Monte Athos. Tradotte in diverse lingue, non avevano fino ad oggi un corrispettivo in italiano. Le cento favole qui riunite – dal Contadino e il mare a Danzare non fa per me o Nel regno dell’utopia – rivivono grazie alle interpretazioni visive di Giulia Lombardo.
Riappare, rivisitata da Raffaele La Capria, anche la fiaba di Colapesce (Gallucci, disegni di Vincenzo Del Vecchio, pp. 64, euro 18). La leggenda fondativa siciliana (la versione più conosciuta è quella messinese) che già Calvino trascrisse e «aggiustò», ha calamitato a sé la penna di La Capria che si era dapprima divertito a raccontarla alla figlia Alexandra e poi l’aveva pubblicata nel 1974, punteggiandola con la sua passione per la vita di mare e i colori dei paesaggi che si dispiegano fra scogli, spiagge assolate e notturni rientri di barche dei pescatori. «L’occasione fu il compleanno di mia figlia che ancora non sapeva leggere e che dunque si trovava nella condizione ideale per ascoltare le favole che le inventavo. Mi stava a sentire con una specie di sognante rapimento…».

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«Non attingo alla fantasia, ma rubo dalla realtà». Si presenta così la scrittrice svedese Barbro Lindgren (1937) che esordì nella letteratura per l’infanzia con la deliziosa Storia di un signore piccolo piccolo, pubblicato per la prima volta in Svezia da Rabén & Sjögren nel 1979 e poi emigrato in America negli anni 90 (in Italia è edito da Iperborea, pp.48, euro 13, traduzione Laura Cangemi). Il libro – che racconta con un tono poetico e a volo di farfalla l’amicizia tenera tra un anziano uomo che si sente abbandonato e un cane randagio in cerca di affetto, con l’incursione di una bambina che si unisce alla «coppia» – segnò l’inizio della stretta collaborazione con Eva Eriksson.
Infine, un salto nell’universo delle fiabe dark per qualche brivido natalizio. L’incredibile famiglia Appenzell, testi di Sébastien Perez, illustrazioni di Benjamin Lacombe (Rizzoli, pp. 80, euro 25) ci presenta un «albero genealogico» molto speciale. A fare gli onori di casa è Victoria, a cui la nonna Eugènie (che da piccola aveva come animale da compagnia un coccodrillo) ha lasciato in eredità una scatola piena di fotografie e lettere. «In modo che tu possa conoscere la tua famiglia», le lascia scritto. E così, un giorno, Victoria ha deciso di condividere con gli altri la sorprendente «biografia» collettiva, tra circensi, prodigi della natura, caratteri spinosi e fughe avvolte nel mistero.

 

 

SCHEDE

Nessuna lezione

I grandi libri per l’infanzia non hanno nessuna lezione da dare ai bambini. È con questa consapevolezza che Giorgia Grilli nel saggio Di cosa parlano i libri per bambini (Donzelli, pp.336, euro 32) frutto di una ricerca ventennale, rovescia la prospettiva proponendo un cambio di postura: è l’infanzia – soglia di accesso a quanto di più profondo esista nell’umano – che ha qualcosa da dire, da far trapelare. La grande letteratura per l’infanzia è proprio quella che aguzza lo sguardo, rende più ricettivi, si sforza di avvicinarsi a una dimensione che ci è estranea.

Filastrocche

Silvia Roncaglia compila un calendario in rima allineando 366 filastrocche minute come bigné: in un piccolo formato, tanti sapori diversi. Scrigni da assaporare in un sol boccone, uno al giorno. Rime per tutti i gusti: allegre, sognanti, irriverenti, brontolone, dal 1° gennaio al 31 dicembre. Filastrocche per un anno (Lapis, pp. 376, euro 17,50) è corredato dalle sorprendenti illustrazioni di Gek Tessaro, che accompagna ciascun testo con pochi tratti di colore, forme essenziali che stimolano la fantasia. E alla fine dell’albo, letta l’ultima strofa, si può tornare indietro e ricominciare daccapo, perché come recita la filastrocca: «ogni momento passa e muta forma e forse ciò che è andato poi ritorna».