«Questa mattina ho preso una carrozza e sono andato assieme al servo del Console a Cartagine. Ci siamo fermati davanti alla collina (la Byrsa ndr) sulla quale c’è un podere dei Francesi circondato da un muro altissimo. Lì hanno raccolto qualche statua di marmo e frammenti di mosaici colorati con pesci e altri animali marini». A scrivere queste parole è, nel 1864, l’irrequieto e scaltro uomo d’affari che solo qualche anno più tardi individuerà la mitica città di Troia nella collina turca di Hissarlik. Di Heinrich Schliemann, oltre a una vasta produzione «scientifica» e divulgativa – si contano trecento tra monografie, saggi e articoli su quotidiani – restano infatti anche diciotto diari di viaggio, datati tra il 1846 e il 1890, scritti nella lingua del paese visitato. Dopo la trascrizione, tra il 2012 e il 2014, dei diari della California e dell’Europa continentale a opera di Christo Thanos e Wout Arentzen e, nel 2018, l’edizione dei diari italiani da parte di Massimo Cultraro, di recente Umberto Pappalardo ed Ezzazia Souilmi hanno presentato nel quinto numero di «Cartagine. Studi e Ricerche» (CaSteR) – la rivista internazionale accademica in open access della società scientifica Scuola Archeologica Italiana di Cartagine (Saic) – un contributo dal titolo Heinrich Schliemann a Tunisi e Cartagine. I diari. Il saggio consta della traduzione dei quaderni – custoditi presso la Gennadius Library dell’American School of Classical Studies at Athens (Ascsa) – dall’arabo classico, realizzata per la prima volta da Souilmi, e di un approfondimento a cura di Pappalardo. Schliemann soggiornò a Tunisi per soli sei giorni, tra la fine di maggio e gli inizi di giugno del 1864.
Come spiega lui stesso in una lettera inviata poco prima della sua partenza dal porto di Cagliari al banchiere tedesco Schröder, il viaggio fu cagionato da motivi finanziari. L’ex garzone di bottega del Meclemburgo, arricchitosi durante la guerra di Crimea ed emigrato in Russia nel 1844, lamenta la crisi del commercio a San Pietroburgo e comunica la sua intenzione di recarsi in Tunisia per sondarne le potenzialità economiche. Nella missiva, Schliemann dichiara di non temere i risvolti della rivoluzione, in quanto padroneggia la lingua e viaggia abbigliato alla maniera araba.
Era quella un’epoca fervida di rinnovamenti ma anche di grandi turbolenze, che vedeva protagonisti il Bey (Sadok Bey, il quale regnò dal 1859 al 1881), il Primo Ministro Mustapha Khaznadar e il Comandante della Cavalleria Keireddine Pasha. Schliemann conobbe personalmente soltanto i primi due, dando conto di questi incontri nei diari. Khaznadar, nato nel 1817 nell’isola di Chio con il nome di Georgios Kalkias Stravelakis, in seguito alla repressione ottomana dell’isola del 1822, venne venduto come schiavo e deportato a Costantinopoli. Acquistato da un membro degli Husaynidi, che allora erano i Bey di Tunisi, e convertito all’Islam sovvertì il suo destino diventando Tesoriere di Stato e poi Gran Visir. Fino al 1870, data della sua morte, ricoprì inoltre l’incarico di Presidente del Gran Consiglio. Fu sepolto nel mausoleo reale di Tourbet El Bey, ancor oggi uno dei monumenti più emblematici della Medina di Tunisi.
Schliemann incontrò Khaznadar nel Palazzo del Bardo, dove si trovava la residenza del Bey e dove attualmente hanno sede il Parlamento e il museo archeologico che ospita la più prestigiosa collezione di mosaici al mondo. Ebbe modo di conversare con lui, scambiandolo tuttavia per il Bey e compiendo dunque la sventatezza di consigliargli come agire per sedare le ribellioni scoppiate ovunque nel paese a causa del raddoppio della mejba, la tassa sulle persone fisiche. Schliemann riconobbe in Khaznadar furbizia e competenza ma non omise di menzionare l’odio degli oppositori. Questi era infatti l’uomo più ricco e potente del paese: sovrintendeva ai prestiti e incassava una commessa su ogni transazione. Pappalardo, a sua volta informato da M’hamed Fantar, aggiunge che Khaznadar era talmente avido da trarre persino profitto dalla vendita agli Europei di pezzi archeologici rinvenuti nelle sue proprietà. Parole ossequiose sono invece riservate da Schliemann al Bey. Dopo aver raccontato nei dettagli il cerimoniale di accoglienza del «Signore di Tunisi», autore della prima costituzione del mondo arabo e di un nuovo codice di giustizia, nella Sala della Mahkama (aula di giustizia), ne evidenzia la «sagacia superiore a quella di Salomone».
Raccapricciante la nonchalance con cui Schliemann vanta la possibilità che avevano i prigionieri di scegliere tra l’ergastolo, i lavori forzati nei boschi, ottocento vergate o la pena di morte. Successivamente, ritornerà su quest’episodio della Mahkama – con l’aggiunta di particolari folcloristici come la descrizione della pipa del Bey – in una pagina di diario redatta mentre soggiornava in Italia, nei pressi di Bologna, per un trattamento termale. Questo stralcio in italiano, trascritto da Pappalardo, è ugualmente presente nel contributo edito in «CaSteR». Le annotazioni di Schliemann, mai indirizzate all’altrui lettura, hanno qui un carattere prevalentemente politico ed economico. D’altronde, il celebre scopritore di Troia si era messo in affari con il barone d’Erlanger, un ebreo di origine tedesca inventore dei prestiti ad alto rischio in Tunisia e in altri paesi in via di sviluppo, padre del pittore orientalista e musicologo Rodolphe, la cui residenza affacciata sul Djebel Bou Kornine, nell’incantevole villaggio di Sidi Bou Said, dal 1991 alloggia il Centro delle musiche arabe e mediterranee.
Nei diari non manca qualche accenno pittoresco alla città di Tunisi, dove «le vie sono tortuose e strette e non hanno un nome per cui uno straniero ha difficoltà a muoversi» e i circa cinquemila abitanti parlano una lingua «commista ad altre parole maghrebine». Schliemann descrive anche la copiosa distribuzione d’acqua che – grazie al ripristino, nel 1859, dell’acquedotto romano di Zaghouan – faceva zampillare una fontana in ogni strada. Colorito anche l’aneddoto dell’acquisto di una chéchia, il copricapo tradizionale maschile tunisino tuttora fabbricato artigianalmente e venduto nel Suq, che Schliemann riuscirà a comprare a un prezzo conveniente dando un bakschisch (mancia) a un ebreo.
Durante la permanenza in Tunisia, l’abile imprenditore che di lì a poco avrebbe ottenuto un dottorato all’Università di Rostock per la dissertazione su Itaca, il Peloponneso e Troia non perse l’occasione di recarsi a Cartagine. Quello che vide è un paesaggio che a noi appare straniante, in quanto la sommità della collina di Byrsa – dove sorgeva l’acropoli della città punica – non era ancora occupata dall’imponente Cattedrale di San Luigi, la cui costruzione iniziò nel 1884, mentre le rovine affioranti erano state riportate alla luce dal colonello e ingegnere francese Humbert al principio dell’Ottocento. Schliemann visitò anche il porto militare punico, il kothon, collegato allo scalo commerciale con un canale e passeggiò nel quartiere litoraneo detto di Magone. Rimase inoltre colpito dall’anfiteatro romano e dalle cisterne de La Malga, nei pressi delle quali, dopo aver fatto un bagno in mare, comprò da alcuni scavatori un’iscrizione lapidea.
La città di Annibale, rasa al suolo da Scipione Emiliano nel 146 a.C. e ricostruita sotto Giulio Cesare che vi fondò una colonia, condivise con Troia oblio e leggende, per poi divenire – in seguito agli scavi francesi debuttati nel ventesimo secolo – uno dei siti archeologici più splendenti del Mediterraneo, patrimonio Unesco dal 1979. E là dove Polibio racconta che i soldati romani sparsero sale e Scipione pianse, Schliemann il «predestinato» s’inebriò del fior di gelsomino.