«Gli anni Sessanta sono un momento molto importante nella storia di Hong Kong, e forse sono stati la principale ragione per fare questo film. C’era molta gente arrivata lì dalla Cina nel ’49 che ha lasciato la sua impronta, libri, cultura, abitudini, continuando poi a muoversi per timore del corso politico. È un periodo che conosco bene, volevo restituirne le emozioni che oggi non ci sono più. Anche per questo ho deciso di girare a Bangkok, Hong Kong nel tempo si è trasformata molto velocemente, era impossibile ritrovare le immagini di allora».

Diceva questo Wong Kar-wai a Cannes nel 2000, dopo la presentazione (in concorso) di In the Mood for Love, colpo di fulmine istantaneo sulla Croisette – e successo planetario che aveva reso il regista di Hong Kong quasi una rock star.

Il duetto emozionale tra Tony Leung – che vinse il premio per il miglior attore – e Maggie Cheung, ballerini di un musical dei sentimenti in cui a danzare è la macchina da presa che ne cattura frammenti di corpo, le spalle, le mani, gli sguardi, la sigaretta tra le dita, il fruscio dei vestiti seguendoli al ralenti tra i corridoi stretti, quando si incrociano nelle scale o in strada sotto alla pioggia, talvolta senza neppure vedersi, davanti al tavolo di mahjong, spiati dagli occhi impiccioni degli altri inquilini della casa, in una solitudine che sembra il loro destino.

Quell’universo stretto di stupore e adorazione per le novità che arrivano dall’estero, di pettegolezzi, silenzi, pettinature all’ultima moda, canzoni di Nat King Coleera dunque stato un po’ anche il suo: nato a Shanghai (nel 1958) a Hong Kong era arrivato bambino, le trasformazioni di esseri umani e cose che sono la storie dei suoi film raccontano quello che passa, lo sfiorarsi per poi perdersi.

Ne rimase persino un po’ intrappolato in quel film Wong Kar-wai, tanto che il successivo, 2046 (2004) realizzato con fatica, porta il titolo del numero della stanza d’albergo dove il personaggio di Tony Leung di In the Mood … si rifugia. Anche se lui era già conosciuto, c’era stato prima Happy together, un altro successo, andando indietro, alla fine degli anni Ottanta (1988) As Tears Go By aveva già catturato gli sguardi più allenati anticipando il segno di un grande regista.

RIVEDERE In The Mood … oggi, a distanza di vent’anni, non cambia niente del suo fascino e della sua invenzione, e non c’era modo più bello per tornare al cinema di questo, grazie a Tucker film che lo riporta in sala (laddove saranno aperte) il 28 aprile nella versione restaurata in 4K, e in un progetto monografico (Una questione di stile) che prevede anche la presentazione di altre cinque opere del regista: As Tears Go By, Days of Being Wild, e le versioni 4K di Angeli perduti, Hong Kong Express e Happy Together. Perché il film di Wong Kar-wai – tra i registi più amati da Bertolucci e che nei suoi «maestri» mette Truffaut e Antonioni – è un magnifico gesto di cinema in una narrazione di immagini, che crea nella forma, nei colori, nei cromatismi emozionali degli abiti di Cheung e nella geometria di cravatte e completi di Leung, nella canzone che dice del loro destino un melodramma appassionato e minimale, l’amore nato sulla messinscena di un tradimento e di una felicità domestica, che poi diviene una relazione la cui potenza cresce tanto più è negata.

Atti mancati, ritardi fatali. Ma qual è il «Mood for Love», lo stato d’animo giusto per innamorarsi? Sul pianerottolo di una casa affollata traslocano nello stesso momento il signor Chow, caporedattore di un giornale locale (Leung) e la signora Chan, impeccabile segretaria in una società di navigazione (Cheung). Sono entrambi sposati ma non vedremo mai i reciproci coniugi, eppure sono loro a muovere la storia, perché come sapremo presto per la goffa coincidenza di due regali offerti a moglie e marito – una vistosa borsetta e una cravatta di importazione – sono diventati amanti. Come? Quando? Magari la volta che la moglie del signor Chow ha pagato al marito della signora Chan la risiera al vapore? I due si interrogano e iniziano un gioco crudele «interpretando» i propri sposi, gelosia compresa, senza però diventare amanti. Anche se il desiderio tra loro è esplosivo e la complicità assoluta.

PERCHÉ rimanere allora nel fantasma degli altri? «A tua moglie piacciono le cose piccanti» dice la signora Chan quando lui al ristorante su sua richiesta le ordina i cibi prediletti della moglie. E mentre ormai sola esce sempre più spesso vedendo il signora Chow i vicini la condannano.

E se invece fossero stati loro due a guardarsi diversamente la prima volta, nell’attrazione inevitabile per l’uomo o la donna della porta accanto? La silhouette sottile di lei, della signora Chan, i capelli cotonati, un lieve imbarazzo. Una malinconia che è una condanna, che è il tempo di un’esistenza e la libertà del cinema.