Gli agricoltori spagnoli sono in rivolta. Nelle ultime settimane ci sono stati cortei e blocchi stradali, proteste alle quali hanno partecipato decine di migliaia di persone. Il problema sono i prezzi troppo bassi dei prodotti agroalimentari all’origine. Il governo ha promesso misure, ma il fatto è che può fare ben poco di fronte alla grande distribuzione ed agli andamenti del mercato. In una Europa dove peraltro la media distribuzione sta sparendo e la «filiera corta» rappresenta percentuali minime.

LA SITUAZIONE ERA PESANTE DA MESI, con il settore olivicolo sul piede di guerra per il crollo dei prezzi. Un crollo causato anche, bisogna dire, dalla stessa sovrapproduzione spagnola. A metà ottobre una grande manifestazione degli olivicoltori aveva percorso le strade di Madrid riportando il mondo dell’agricoltura, solitamente dimenticato, su giornali e notiziari. Con l’arrivo del nuovo governo, finalmente un nuovo interlocutore dopo undici mesi senza esecutivo in funzione, la protesta è esplosa con forza in tutto il paese. A fine gennaio migliaia di agricoltori hanno bloccato le principali strade della provincia di Jaén, il territorio da dove proviene la maggior parte dell’olio d’oliva mondiale. Le proteste, convocate dalle principali organizzazioni agricole (Asaja, COAG e UPA), sono state importanti anche nell’Estremadura: ci sono state cariche della polizia a Don Benito, presso Badajoz. A inizio febbraio la protesta è tornata a Madrid e si è diffusa in praticamente tutte le Comunità Autonome.

Secondo UPA, la Unión de Pequeños Agricultores, «c’è un forte disequilibrio nella catena dell’agroalimentare, con poche imprese della grande distribuzione e dell’industria che controllano tutto». Gli agricoltori sono deboli di fronte a questi colossi.

COME MOSTRANO I DATI PUBBLICATI dalla COAG, la Coordinadora de Organizaciones de Agricultores y Ganaderos, a gennaio del 2020 un chilo di arance viene pagato al produttore (all’origine) 0,20 euro; al consumo sale a 1,60 euro. La verza viene venduta per 19 centesimi al chilo, che diventano 1,25 euro sui banchi della grande distribuzione. Stesso problema con il latte, ed anche il grano è ai minimi da 30 anni. Sull’olio extra vergine andrebbe aperto un capitolo a parte, ma anche lì i prezzi sono bassi, poco sopra i 2 euro al chilo. Con questi prezzi, denunciano i produttori, «si va in perdita».

La UPA denuncia un aumento dei costi di produzione, mentre non sono aumentati i prezzi al consumo, e chiede al governo nuove norme che incoraggino l’accorciamento della filiera e la vendita diretta.

Intanto le tre principali organizzazioni agrarie hanno ottenuto l’attenzione del governo. Di fronte alle crescenti proteste il nuovo ministro dell’Agricoltura Luis Planas ha parlato di «problema strutturale che viene da lontano» ed ha promesso misure urgenti contro le pratiche commerciali sleali. L’obiettivo è ostacolare la vendita di prodotti «sottocosto», quindi al di sotto del costo di produzione. Un campo questo su cui ha lavorato negli ultimi anni la Commissione Europea: nel 2021 diventerà effettivo il regolamento 1746 sulla trasparenza del mercato e si sta lavorando da tempo ai regolamenti sulle pratiche sleali nel commercio. Il problema però è che non si può fare molto di più in un sistema globalizzato.

IL MINISTRO SPAGNOLO HA SUBITO scartato una delle richieste fatte dalla Unione dei Piccoli Agricoltori di fissare un prezzo minimo all’origine: «Il governo non può fissare i prezzi», ha detto. Ha inoltre escluso che la soluzione del problema sia nell’aumento del prezzo finale. Del resto, i prezzi vanno visti anche nell’ottica del consumatore ed è evidente che i bassi valori offerti dai supermercati sono attraenti per il consumatore impoverito da anni di crisi. Il ministro spagnolo ha iniziato comunque una serie di incontri con la grande distribuzione invitandola ad evitare campagne pubblicitarie che puntano sulla spirale «ribassista». Proprio pochi giorni fa aveva destato indignazione fra gli agricoltori una campagna pubblicitaria della Lidl che parlava di «preciobajismo» (la tendenza al continuo ribasso dei prezzi) come «nuova forma di arte».

Il Ministro Planas si è soffermato anche sui problemi strutturali del sistema nazionale, denunciando come nessuna delle cinquanta cooperative agricole europee più importanti sia spagnola, ed invitando quindi ad organizzare meglio l’offerta del settore produttivo. Un esempio in questo campo può arrivare dall’Italia, in particolare dall’Emilia Romagna, dove una gran quantità di associazioni di produttori nel settore orto-frutta riesce a garantire un maggior potere contrattuale nei confronti della grande distribuzione. Ma anche in Italia, come in Spagna, questo non basta.

IL LIVELLO DI STANCHEZZA E RABBIA del mondo agricolo spagnolo è elevato e l’estrema destra sta tentando di cavalcare la protesta, finora senza grande successo. Il governo Sánchez teme però che nelle settimane a venire la «crisi della campagna», come viene definita dai mass media, diventi un serio problema per l’esecutivo. Qualcuno già parla della possibilità che nasca un movimento dei gilet gialli spagnolo, magari allargato ad altri settori in difficoltà, ma è vero che Francia e Spagna sono molto diverse. Quel che è certo è che le difficoltà del mondo rurale spagnolo vengono da lontano. Nel marzo del 2019, in una grande manifestazione a Madrid, decine di migliaia di persone venute dalle zone meno popolate del paese avevano manifestato contro l’abbandono della Spagna rurale.

NEI NOTIZIARI PRENDEVA COSI’ SPAZIO la «Spagna svuotata», quei territori non urbani abbandonati in seguito a un esodo massiccio verso le città iniziato 60 anni fa e che non si è mai interrotto. Quel mondo oggi si sente abbandonato, lasciato indietro. Altre nubi poi si addensano sul mondo dell’agricoltura, con il problema del cambiamento climatico: mancanza di acqua e trasformazione delle coltivazioni, con fioriture anticipate e invasione di specie aliene sono alcune delle sfide più grandi, come accade in Italia. Un colpo al settore arriva poi anche dai dazi statunitensi su alcuni prodotti.