Ieri vertice a Parigi tra Putin e Hollande, sempre presente il ministro degli esteri russo Lavrov. Ai margini della verifica, con Angela Merkel e Poroshenko, degli accordi di Misk sull’Ucraina. Ma l’argomento vero era il ruolo di Mosca, e per la Russia, il ruolo di Parigi che con il suo intereventismo d’avanguardia in Siria rischia di far saltare ancora di più gli equilibri già difficili tra Usa e Russia.

Intanto Mosca ha condotto ieri 18 raid in Siria a Raqqa, Aleppo, Hama e Idlib. I raid russi, denuncia l’«opposizione» siriana, non stanno colpendo solo i jihadisti dell’Isis – sarebbero almeno 12 i morti tra i terroristi – ma anche la miriade di gruppi armati di opposizione al regime di Assad (inclusi gli uffici della Radio di Aleppo dell’Esercito libero siriano). La debole coalizione internazionale che da mesi cerca di combattere contro Isis in Siria e Iraq, che include Usa, Gran Bretagna, Turchia, Arabia saudita e petromonarchie del Golfo, ha chiesto a Mosca il cessate il fuoco immediato e lo stop dei raid contro i gruppi di opposizione. Solo ieri 28 sono stati i bombardamenti della coalizione, guidata dagli Usa, in Siria e Iraq.

In una nota il Pentagono ha ammesso che sta «valutando» se debba usare la forza per proteggere i ribelli anti-Assad, addestrati dagli Usa in Siria, come sancito dal Congresso, nel caso vengano colpiti dai raid russi. Queste dichiarazioni suonano però solo come un vuoto avvertimento perché di fatto anche Washington ha dato il suo via libera informale alle operazioni russe in Siria, riconoscendo la centralità di Mosca e Tehran nel paese. E così Alexei Pushkov, presidente della Commissione esteri della Duma, ha confermato che gli attacchi potrebbero durare per tre o quattro mesi, perché «gli Usa hanno solo finto di attaccare Isis mentre Mosca sarà molto più efficace».

Ora per la fallimentare politica anti-Pkk di Ankara, la lotta per l’indipendenza dei kurdi siriani è stata intercettata dai russi. I leader del Partito democratico unito (Pyd) hanno criticato qualsiasi intervento di Ankara in Siria, dopo la formazione delle note safe-zone turche, con l’avallo Nato, imposte per fermare i combattenti kurdi che intanto avevano ottenuto l’unificazione di Rojava. Turchi e americani controllano il Nord della Siria, e Mosca lascia fare, «ma se la Turchia tentasse di intervenire, allora (i russi, ndr) agirebbero per fermarli», ha insistito il leader del Pyd, Salih Muslim.

A rafforzarsi sono i kurdi iracheni. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov ha confermato che Mosca ha fornito armi ai peshmerga di Barzani. Lavrov ha poi annunciato la nascita di un «centro di informazione congiunto» anti-Isis, composto da Russia, Iraq – pronta a chiedere l’intervento russo -, Iran e Siria a Baghdad. E sono migliaia i combattenti della Guardia rivoluzionaria iraniana ad essere entrati in Siria nelle ultime settimane per dare sostegno via terra alle operazioni russe. Il rafforzamento del ruolo iraniano, che siederà al nuovo round negoziale Onu sulla Siria, insieme a Stati uniti, Russia e Turchia, è arrivato dopo la conclusione dell’accordo sul nucleare, approvato definitivamente anche dal Congresso Usa. Così, per la prima volta dalla rivoluzione del 1979, il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, ha stretto la mano al ministro degli Esteri iraniano e capo negoziatore, Javad Zarif. A Tehran è subito esplosa la polemica degli ultraconservatori, che hanno definito il gesto contrario ai principi della Repubblica islamica. Nel discorso all’Assemblea Onu, il presidente Hassan Rouhani è arrivato a promettere uno scambio di prigionieri con la liberazione del corrispondente del Washington Post, Jason Rezaian, degli ex marine Usa, Amir Hekmati e Saeed Abedini, in cambio del rilascio di 19 iraniani dalle prigioni Usa.

Infine, ieri è entrata in azione contro Isis anche l’aviazione tunisina al confine con l’Algeria, nel governatorato di Kef. Unità della Guardia nazionale e dell’esercito di Tunisi sono impegnate da giorni in operazioni di rastrellamento.