Dal referendum alle primarie per Matteo Renzi la musica in Sicilia non cambia. Se è vero che vince le primarie, l’ex premier, che il 4 dicembre nell’isola aveva preso la batosta più sonora, lo fa con quasi 10 punti in meno rispetto alla media nazionale. Un campanello d’allarme quando mancano 6 mesi alle elezioni regionali d’autunno, con i renziani in frantumi un po’ ovunque, alle prese con faide interne e veleni: da Catania a Palermo, da Caltanissetta ad Agrigento. Un nervosismo manifestato soprattutto dal sottosegretario Davide Faraone.

Mentre Fausto Raciti, segretario dei dem siciliani, si affretta a rilanciare l’unità proprio in vista delle regionali e sigla un «patto» con Crocetta garantendogli che della sua ricandidatura se ne occuperà la direzione del partito, Faraone boccia ancora una volta il governatore. Pur mantenendo in giunta tre assessori di area renziana, Faraone ribadisce che non sosterrà Crocetta né come candidato unitario né tantomeno alle eventuali primarie.

I numeri dei gazebo però non stanno proprio dalla parte dell’ortodossia renziana. Anzi. Nell’area di Caltanissetta, feudo dell’alleato di ferro Totò Cardinale che col suo movimento Sicilia Futura aveva schierato la figlia Daniela (deputata) come capolista, Renzi si piazza alle spalle di Orlando. Evidentemente a molti è andata indigesta la foto del pranzo tra Renzi e Cardinale che sancì l’alleanza. Far girare quella foto, col senno del poi, è stato un autogol. Addirittura a Caltanissetta città ha vinto Emiliano. Come a Gela, dove però la commissione di garanzia su input proprio di Daniela Cardinale ha annullato il voto per presunti brogli anche se il plico con alcune schede, uscito da un circolo Pd vicino alla mozione Orlando, era stato isolato dai rappresentanti della lista Emiliano che ora invocano chiarezza. Il sospetto è che Cardinale abbia invocato i garanti per coprire la sconfitta nella città di Crocetta, che dalle primarie sembra uscire rafforzato.

Il risultato migliore Renzi lo ottiene a Palermo, col 70%. Con lui nel capoluogo si sono schierati tutti i big. Anche a Catania i renziani si aspettavano il boom, col sindaco Enzo Bianco e i deputati regionali Valeria Sudano e Luca Sammartino (ex Udc) in prima fila pur se l’un contro l’altro armati: alle falde dell’Etna il 60% dunque appare deludente, a fronte del 28% ottenuto da Orlando e dell’11,6 di Emiliano. Ancora peggio a Messina: Renzi prende il 55% con Emiliano al 25% e Orlando al 18. «Il nostro percorso, appena iniziato, ha ottenuto fiducia da tanti cittadini siciliani che, con una percentuale del 15% circa, ne hanno sancito il valore e dato impulso all’impegno», dice Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi e più che braccio destro di Emiliano. E che dire di Enna: nell’enclave dell’ex senatore Mirello Crisafulli, Orlando sfiora il colpaccio a quota 40%, 10 punti in meno di Renzi, con Emiliano che racimola un dignitoso 20%. Un ulteriore significato politico lo forniscono i risultati in alcune città «simbolo»: a Termini Imerese, emblema della de-industrializzazione dell’ultimo decennio, vince Emiliano. Come a Bagheria: grosso centro alle porte di Palermo sommerso dal mattone selvaggio e in questa fase amministrata dai 5S. A Corleone, dove l’amministrazione è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, s’è imposto Orlando.