Nel referendum del 2014 gli indipendentisti scozzesi si erano fermati al 45%, ma dopo Brexi e Covid-19 le cose sono molto cambiate. A dirlo è un recente sondaggio Ipsos-Mori: il 58% è per la secessione dal Regno Unito. Inoltre, il 64% degli intervistati è convinto che vada indetto un nuovo referendum in caso di vittoria del Partito Nazionale Scozzese (Snp), attualmente al governo, alle elezioni di maggio 2021. Al momento l’Snp è dato al 58%, i conservatori al 19%, i laburisti al 13%, i Lib-Dem all’8%. Una nuova vittoria dell’Snp della premier Nicola Sturgeon pare dunque scontata, così come un secondo referendum.

 

GIÀ A SETTEMBRE Sturgeon aveva indicato la road map: a marzo 2021 il suo governo presenterà il piano per il nuovo referendum, slittato a dopo le elezioni a causa dell’emergenza Covid-19. Emergenza che, insieme alla Brexit, ha certamente reso più probabile il divorzio fra Londra e Edimburgo.

AD OGGI LA SCOZIA ha un suo parlamento e il controllo di settori chiave come quello sanitario, ma su temi quali economia e politiche migratorie a decidere è il governo di Londra. Il governo scozzese ha potuto quindi attuare politiche per il contrasto al Covid-19 diverse, e tendenzialmente più prudenti, rispetto a quelle di Boris Johnson. Al contempo, le politiche per la ripresa economica post-pandemica, oltre che sull’ancora apertissima questione Brexit, vengo decise a Londra.

I timori per la stabilità economica scozzese in caso d’indipendenza, questione determinante nel referendum per del 2014, sono infatti in progressivo dissolvimento dal post-Brexit. La maggioranza degli scozzesi ha votato per rimanere nell’Ue e ha assistito con disappunto alla vittoria dei brexiters in Inghilterra, oltre che al progressivo radicalizzarsi delle posizioni conservatrici del governo inglese nelle trattative post-Brexit. Non a caso, è all’avvento del governo di Boris Johnson che è corrisposta la maggiore crescita dei consensi del Snp scozzese. Inoltre in Scozia sono in molti a non sentir proprio l’antieuropeismo a qualsiasi costo della maggioranza degli inglesi. Insomma, se nel 2014 l’indipendenza era vista come scelta irrazionale, le cose sembrano molto cambiate dopo la Brexit.

Seguendo l’andamento dei sondaggi dall’inizio del 2020 a oggi, ci si rende conto però che è solo nel periodo fra marzo e aprile, e cioè con l’inizio della pandemia, che i sondaggi hanno registrato per la prima volta la prevalenza degli indipendentisti.

Le ragioni sono essenzialmente tre. In primo luogo, le più prudenti misure di prevenzione del contagio decise dal governo scozzese hanno scongiurato, almeno nella prima fase, i contagi record registrati in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord. Inoltre, la Scozia gestisce direttamente il sistema sanitario nazionale e si è sempre distinta per un’attenzione al welfare ben superiore a quella dei recenti governi liberal-conservatori di Downing Street, accusati oggi di aver pagato i tagli alla sanità pubblica con numeri record di morti da Covid-19. Terza e ultima ragione, la gestione della pandemia da parte del governo Johnson è parsa inefficace a molti scozzesi, prima ancora che da un punto di vista sanitario, a livello comunicativo e d’immagine. I sondaggi Ipsos-Mori mostrano che la popolarità di Sturgeon è ad oggi al 72%, mentre il 76% degli scozzesi intervistati si è detto insoddisfatto del premier inglese Johnson. Sturgeon ha evidentemente saputo dare nei mesi passati un’immagine più rassicurante e comunicare in maniera più chiara la strategia governativa di contrasto alla pandemia.

VA PUR DETTO CHE se la prima ondata pandemica aveva fatto meno danni in Scozia che nel resto del regno, ad oggi i numeri del contagio non sono più così eccezionali. Non mancano poi le critiche interne rivolte contro Sturgeon e l’Snp. Per laburisti e conservatori scozzesi è profondamente sbagliata, se non interessata, la decisione di spostare l’attenzione dai temi che la pandemia impone, anzitutto quelli economici e sanitari, a un tema divisivo come quello dell’indipendenza. Divisivo non solo nei confronti del resto del regno, ma anche fra gli scozzesi stessi, dato che il 42% si dichiara contrario alla secessione. Fra le ragioni di tale contrarietà, rileva Ipsos-Mori, figurano la questione della evidente omogeneità socioculturale rispetto al resto dell’Uk, l’idea che la presenza di un governo e un parlamento ad Edimburgo garantisca già sufficiente autonomia, i rischi d’isolazionismo internazionale e quelli per economia e mercato del lavoro.

SULLO SFONDO della diatriba interna, tuttavia, permane la netta opposizione del governo britannico a un secondo referendum. La Scozia potrebbe trovarsi perciò a indire una votazione non riconosciuta dall’esecutivo Johnson, il cui esito favorevole agli indipendentisti aprirebbe scenari difficilmente prevedibili. L’unico, non felice, precedente europeo è quello catalano.