Adele Cambria è stata una grande giornalista e scrittrice calabrese, che è rimasta sempre legata alle sue origini a differenza di altri intellettuali di successo fuggiti dalla Calabria o dal Mezzogiorno, quasi vergognandosi della terra d’origine. L’ho conosciuta da studente universitario durante i “fatti di Reggio” nell’estate del 1970, inviata dall’Espresso, allora un settimanale molto seguito nel nostro paese.

Con lei abbiamo fatto l’unica inchiesta con questionario, pubblicata da i Quaderni Calabresi, nei quartieri popolari della cosiddetta “Repubblica di Sbarre” e “Granducato di Santa Caterina”, protagonisti della rivolta per Reggio Capoluogo. Adele, andava e veniva da Roma, seguendo passo passo l’evolversi della rivolta, anche come direttrice responsabile di Lotta Continua, a cui aveva prestato il suo nome per rendere possibile l’uscita del giornale (grazie all’amicizia con Adriano Sofri). Appassionata, mai ideologica e settaria, riusciva a parlare con tutti ed a costruirsi in autonomia una propria visione del mondo spesso fuori dal coro, pagandone le conseguenze in termini di carriera nei giornali nazionali dove ha lavorato. In nome della soggettività femminile, del diritto delle donne ad avere pari opportunità, conquistata a caro prezzo anche nell’abito familiare come tanta parte del mondo femminile, Adele non ha mai accettato ricatti, censure o discriminazioni nei diversi luoghi di lavoro che ha attraversato.

Spirito inquieto, estremamente curioso delle tante forme della vita sociale, poteva passare tranquillamente da un articolo sulle sfilate di moda a Firenze a quello sui migranti a Badolato, sempre con la stessa grazia e un forte senso dell’autoironia.

Per quaranta anni l’ho incontrata quasi ogni estate quando veniva a passare le vacanze nella sua Catona (frazione nord di Reggio Calabria), in quella casa baciata dagli eucalipti giganti che facevano filtrare splendide immagini dello Stretto. Adele Cambria, ci tengo a dirlo, è stata la dimostrazione di come si possa essere glocal, vivere in una sfera globale senza dimenticare le proprie radici, impegnandosi con i propri mezzi per il riscatto di una terra martoriata.

Ci mancherà la sua ironia dolce ed amara come una pietanza giapponese, i suoi occhi di acquamarina che riflettevano i colori dello Stretto Messina quando diventa un lago, il suo girare in largo e lungo nel nostro Sud alla ricerca di storie da raccontare, di un’altra Calabria da far conoscere al resto del nostro paese, la sua leggerezza e la forza con cui ha affrontato l’età che avanzava.

Certo, Adele è stata ben altro- leader del nascente movimento femminista, penna raffinata ed apprezzata a livello nazionale, generosa madrina di movimenti di lotte per i diritti civili e tante altre cose – ma io la voglio ricordare come una grande amica che ha dato tanto alla nostra terra, sempre con gioia e senza rimpianti. E la voglio ricordare anche come una donna che con la sua fierezza ed il suo coraggio mi ha insegnato tante cose sull’altra metà del cielo.