I triangoli fissano il vuoto in una o due pagine dell’album del bisnonno di Eleonora Roaro (Varese 1989, vive e lavora a Milano). Sul cartoncino scuro sono rimasti solo quegli angoli che servivano per fermare le fotografie: molte erano sparse nello scatolone ritrovato da Silvia Roncari, la cugina dell’artista. La maggior parte, però, è ancora al proprio posto. Sono due gli album fotografici appartenuti a Giuseppe Roncari: uno ha una bella copertina di cuoio di gusto orientalista con un accenno all’Antico Egitto e qualche palma. Uomo di poche parole, il bisnonno Giuseppe affidò i ricordi dell’«avventura africana», nel 1937-38, a circa 360 fotografie, forse scattate da un compagno di viaggio, insieme ad altre acquisite sul posto. Il fondo contiene anche negativi, documenti d’identità e due stampe fotografiche che fungono da catalogo con una serie di immagini grandi come francobolli e, sul retro, le didascalie.

ESPOSTO IN UNA TECA del Camec Centro arte moderna e contemporanea di La Spezia, questo materiale documentario accompagna la prima tappa della mostra Eleonora Roaro. Fiat 633NM, a cura di Cinzia Compalati (fino al 1 maggio), progetto vincitore dell’avviso pubblico Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere – sezione Under35, promosso dalla Direzione generale per la promozione del sistema paese del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dalla Direzione generale creatività contemporanea del ministero della Cultura. Roaro, la cui ricerca è focalizzata sulle immagini in movimento, le pratiche d’archivio e l’archeologia del cinema, è partita proprio da queste vecchie foto per una rilettura critica di una parentesi della storia del XX secolo che riguarda le imprese coloniali nell’Africa orientale italiana, Etiopia, Eritrea e Somalia.
«Il mio bisnonno era nato a Lentate nel 1908 e nel 1937 partì per l’Africa come camionista con il proprio mezzo di trasporto. Veniva da una famiglia povera e, come molti altri italiani, cercava fortuna nelle colonie. Quando rientrò in Italia era arrabbiatissimo perché aveva dovuto lasciare il suo camion in Africa – spiega l’artista -. Del corpus d’immagini ne sono esposte solo alcune: foto in posa di coloni italiani, paesaggi, manifestazioni, ritratti quasi con un taglio etnografico». Immagini che servivano a pompare la propaganda fascista: al seguito delle spedizioni, infatti, c’era sempre un fotografo ufficiale che, insieme a un cineoperatore, documentava le imprese nell’impero coloniale italiano. Solo la sezione «Reparto Africa orientale italiana 1935-1938» dell’archivio dell’Istituto Luce contiene oltre 10mila foto.
Eleonora Roaro, tra le fonti propedeutiche all’elaborazione della videoinstallazione Fiat 633NM, cita anche l’archivio del Tci – Touring club italiano, che proprio nel ’38 pubblicò la Guida dell’Africa orientale italiana a documentazione dell’impresa di modernizzazione delle colonie e i libri In terra d’Africa. Gli italiani che colonizzarono l’impero pubblicato (2017) di Emanuele Ertola e Narciso nelle colonie. Un altro viaggio in Etiopia (2013) di Vincenzo Latronico con le foto di Armin Linke.

«DI FRONTE ALLE LACUNE della memoria e della storia, l’artista può intervenire con il materiale d’archivio suggerendo un percorso personale, una sua mappa. Dell’intero corpus, sin dall’inizio, mi ha colpito la presenza di numerose immagini con i camion Fiat fotografati ossessivamente in diversi contesti. Nelle colonie fasciste rappresentavano un modo per mostrare quanto le popolazioni autoctone fossero ’selvagge’ e quanto gli italiani stessero portando la civiltà. I soggetti sono solo uomini, perciò involontariamente è venuto fuori anche un discorso di mascolinità tossica».

NEL FONDO FOTOGRAFICO non c’è alcun riferimento al madamato, solo nelle «stampe-catalogo» sono presenti ritratti femminili indicati come «Fantasia di ragazze mussulmane», «Eleganze Abissine», «Ragazza Bilena», «Ragazze cunama». Quanto al titolo dell’opera, entrata nelle collezioni del Camec (come previsto dal bando), sottolinea proprio l’autarchia fascista, riferendosi al veicolo prodotto dalla casa automobilistica italiana, lanciato nel ’35 nella versione 633NM (Nafta Militare) e utilizzato dalle forze armate. Su una parete della project room del museo, le 52 immagini di camion della videoinstallazione Fiat 633NM sono perfettamente integrate al paesaggio immaginario composto dal sound designer Emiliano Bagnato che ha manipolato elettronicamente e reiterato le sonorità della marcia militare Seconda fantasia Ascari Eritrei (proveniente dall’Archivio della discoteca di stato – Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi di Roma) con il breve frammento delle note del flauto etiope washint, da cui affiorano parole che inneggiano al re, a Mussolini, all’Italia. «Il paesaggio sonoro scorre da destra verso sinistra, creando un movimento che s’intreccia a quello visivo, come se fosse visto dal finestrino di una vettura. Gli ascari erano i militari dell’Africa orientale italiana, ancora oggi in dialetto veneto si dice ti xe un ascaro, cioè ’sei un selvaggio’».
Il movimento dei camion è suggerito dallo scorrere continuo del paesaggio da sinistra a destra: i panorami di Debra Tabor, Gondar, Dabat, Adi Ugri. «Il primo piano funziona come se fosse lo slide show delle vecchie diapositive, mentre sullo sfondo è presente un paesaggio desertico concepito, secondo la retorica fascista, come natura incontaminata. Attraverso l’assemblaggio di immagini diverse rimarca, invece, l’artificiosità di un paesaggio che non è incontaminato né naturale. Questo elemento del panorama nasce dalla mia fascinazione per giocattoli come lo zootropio e il prassinoscopio, che raccontavano una storia circolare con poche immagini».