«Esserci non significa aderire. Abbiamo preferito non rimanere a casa davanti al pc a commentare ed etichettare. Per provare a comprendere. Quello sceso in piazza è un bel pezzo di società, che può piacerci o meno per come si esprime, ma che non possiamo ignorare. Esserci significa non lasciare la piazza in mano magari a fascisti o mafiosi». Lele Rizzo, uno dei volti più rappresentativi del centro sociale torinese Askatasuna (e dei No Tav), rivendica la scelta di stare in piazza nei giorni della protesta dei forconi.

Com’è nata l’idea di partecipare, anche in qualità di «osservatori», alle manifestazioni che in questi giorni paralizzano Torino?

Siamo stati alle assemblee prima del 9 dicembre, per capire cosa stesse succedendo. Ci siamo detti: «Andiamo a vedere». Avevamo intuito che il ritratto fosse ben più articolato rispetto a quello diffuso dai media. E scendendo in strada ne abbiamo avuto conferma. Siamo di fronte a una nuova forma di proletarizzazione della società. In piazza c’è di tutto, dai mercatari agli studenti, certo anche elementi poco chiari. Li accomuna un odio indistinto verso la classe politica, i sindacati e le istituzioni. Un’analogia rispetto a rivolte in altre città europee, vedi le banlieue parigine.

Perché Torino è diventata la capitale dei «forconi»?

Perché non c’era stata ancora una vera reazione alla crisi fortissima che ha colpito la città. Da tempo va tutto a rotoli, le fabbriche sono un ricordo e i servizi sociali sono decimati.

Come Askatasuna avete detto che volete «starci dentro e provare a invertire la rotta». Non è, forse, troppo ambizioso?

I percorsi si iniziano con ambizione, l’alternativa era stare a casa a dire che sono solo fascisti. Il nostro tentativo è capire e costruire rapporti con un pezzo di società in lotta. Da antifascisti, senza nessun rapporto con qualsiasi rigurgito fascista. A Torino, comunque, la presenza neofascista, come da tradizione, è risicata rispetto altrove.

La vostra posizione ha sollevato discussione. Una delle critiche è: come si fa a stare in una piazza dove emergono lampanti contenuti di destra e populisti?

Siamo rimasti alla larga da ogni situazione ambigua. È difficile starci, ma vogliamo affrontare questa realtà. La nostra allergia verso il tricolore e il continuo grido «Italia, Italia» non è debellata. Avremmo preferito pratiche diverse rispetto alle minacce ai commercianti. Sarebbe stato meglio colpire la grande distribuzione.

Come vi ponete rispetto alla polemica sui caschi tolti dai poliziotti?

Non so se ci sia connivenza o meno. Certo, tolgono il casco per allentare la tensione, se di fronte non vedono un pericolo. Ed è vero che manifestanti e agenti hanno spesso un linguaggio comune. Il movimento No Tav è, invece, da subito visto come un nemico. La differenza è quella.