Quando il 28 gennaio 1986 lo Space Shuttle Challenger esplose al decollo e il primo febbraio 2003 lo Space Shuttle Columbia si disintegrò al rientro appena sopra i cieli del Texas, si pensò in entrambi i casi a due casualità avverse, a situazioni contingenti che portarono alla morte di quattordici persone. Forse i due incidenti si sarebbero potuti evitare, forse no. Col passare del tempo, il discorso iniziò a rovesciarsi. La fatalità non riguardava le due tragiche missioni, bensì tutte quelle che erano andate a buon fine. La quantità non sempre ha il potere di spiegare tutto. E può essere fuorviante credere che ogni elemento sia sotto controllo, malleabile e pronto a riassumere la forma desiderata.

IN UN CERTO senso, In nome del cielo, miniserie creata da Dustin Lance Black (sceneggiatore tra gli altri di J. Edgar di Clint Eastwood e di Milk di Gus Van Sant), disponibile da poco meno di un mese su Disney+, racconta di una singolarità che cela gli inquietanti tratti della normalità, di ciò che non è ricorrente solo perché non vogliamo vederlo.
Tratta da Under the Banner of Heaven: A Story of Violent Faith di Jon Krakauer, lo stesso autore di Aria sottile, la storia (vera e a tratti romanzata) narra di un brutale duplice omicidio accaduto negli anni Ottanta nello Utah, in un sobborgo di Salt Lake Valley. A essere uccise sono una giovane madre e la figlia di appena quindici mesi. Un delitto avvenuto all’interno della comunità mormona, presso i Lafferty, una delle famiglie più in vista del paese, con numerosi fratelli (cognati e zii delle vittime) che abbracciano posizioni religiose sempre più intransigenti e deliranti. In un contesto dove ogni certezza potrebbe disintegrarsi, le autorità spingono per l’eccezionalità e irripetibilità dell’evento.La fede e le sue regole possono convivere con le norme laiche di una collettività?Nelle sette puntate, il contrasto non è tanto tra credenti e atei, che viene effettivamente rappresentato nella figura dei due detective, il primo, Jeb Pyre, fedele ai principi «moderni» della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, il secondo, Bill Taba, nativo, ateo e poco disposto ad ascoltare le ricostruzioni storiche aggiustate degli eredi di Joseph Smith e Brigham Young, i fondatori del mormonismo. Tra i due investigatori, dopo qualche attrito iniziale, si stabilisce immediatamente un’intesa. L’obiettivo comune è trovare chi possa aver accoltellato e poi strangolato con il filo di un aspirapolvere Brenda Wright e pugnalato, senza rimorso alcuno, la bimba.
Il conflitto autentico, perciò, è tra i fedeli, tra chi come Jeb e Brenda assume posizioni «illuminate» e chi come i Lafferty prende la via di un progressivo oscurantismo. Cioè di una protesta che sorge per non pagare le tasse, per salvare la propria attività e per riconquistare l’autonomia contro lo Stato federale, la Balena che tutto divora, e che, però, si trasforma in qualcosa di incontrollabile e irrefrenabile, come se i fratelli barbuti dello Utah avessero preso le sembianze del Capitano Achab in una sua distorta evoluzione. Il loro è un lento avvicinamento alla follia, un cieco credere alle proprie menzogne che ha ripercussioni sul mondo circostante.

La fede e le regole di una religione possono convivere con le norme di una collettività che laicamente amministra le relazioni sociali, economiche, politiche (e sentimentali) di un’intera comunità? È questo uno dei nodi principali intorno al quale si arrovella la serie. Un dilemma che inevitabilmente, di fronte a tanta violenza, fa barcollare Jeb il detective, l’uomo di legge, e Jeb il figlio, marito e padre, il sacerdote a cui è affidato il compito di guida spirituale della sua famiglia.

CHI DA SUBITO non esita è certamente Brenda e per questo ne paga le conseguenze. La sua posizione «dentro» e «fuori» i canoni, il suo estremo tentativo di ribellarsi alle barbarie dei fratelli Lafferty e di un’intera comunità che è più interessata a non vedere affinché le cose restino come sono, la condanna a una vera e propria esecuzione. Troppo «risoluta», troppo «invadente» e troppo «ambiziosa» in un mondo senza aperture dove si ordina che ognuno rimanga al proprio posto.
Uno degli elementi più interessanti è il ricorso continuo alle origini, alle gesta dei pionieri che, attraversando gli Stati Uniti, trovarono nello Utah la sede per fondare e sedimentare il credo della chiesa mormona. Un parallelo tra passato remoto (l’idillio e dissidio tra Joseph Smith e Brigham Young), passato prossimo (i flashback che ricostruiscono la vita di Brenda e dei fratelli Lafferty) e presente (le indagini di Jeb e Bill) che mostra una linea di collegamento color rosso sangue. Perché tanto se ne versò nella prima metà dell’Ottocento, tanto continua a scorrere oggi, anche se spesso sotto traccia, come se i delitti fossero delle sorprendenti parentesi in un mondo che troppe volte si dà e accetta delle regole coercitive.