Il poetico «quel che non siamo, quel che non vogliamo» potrebbe essere un programma di lavoro sufficientemente ambizioso tanto per le Sardine quanto per il teatro contemporaneo, cioè per chi non si arrende a vivere in una piazza virtuale e riafferma la necessità di ritrovarsi fisicamente in uno spazio comune. Che per il teatro significa anche ritrovare un poco della sua alterità, essere fastidiosa voce critica e non educato accompagnatore dello spirito del tempo (qualcuno lo chiama mainstream), dividere piuttosto che confermare ciascuno nelle proprie certezze.

DUNQUE MENO spettacoloni che sono tali solo per la durata penitenziale. Meno tediosissime chiacchiere attorno al tavolo o in poltrona su problemi sentimentali o nevrosi quotidiane ugualmente ininteressanti. Meno prese di posizione su temi politicamente correttissimi su cui non si può che concordare «a prescidere». Meno Milo Rau e più Marthaler e Platel, se vogliamo richiamarci alla scena internazionale per dare un nome al nostro scontento. Ma se poi ci si chiede di volgere in positivo questo «non volere», di indicare chi premiare in memoria del futuro, viene da pensare subito a due luoghi. Palermo e Santarcangelo. Il festival di Santarcangelo compie cinquant’anni e per l’occasione progetta un’edizione speciale.

La curano Daniela Nicolò e Enrico Casagrande, gli artefici di Motus. Chi l’ha frequentato per decenni, il festival, conserva un affetto immutato per la cittadina romagnola. Che molto è cambiata dagli inizi, com’è cambiato nel tempo il suo festival. Ma resta ancora il simbolo di una diversità da preservare. Anche Palermo a suo modo festeggia un anniversario, i trent’anni passati dalla discesa di Pina Bausch e dei suoi danzatori che qui avevano realizzato un sorprendente, non compiacente ritratto teatrale della città. Palermo Palermo, appunto. Come allora la città è ancora alla ricerca di un «rinascimento» che sembra sempre lì a un passo. Palermo è stata la capitale del XII secolo, era all’epoca la città più prospera d’Europa, multiculturale come più tardi sarebbero state solo Parigi e New York. Poi si sa com’è andata.

OGGI VORREMMO (si può osare?) il Nobel per la letteratura alla stupenda Letizia Battaglia, autrice di un emozionante romanzo per immagini, e una casa per i pupi di Mimmo Cuticchio, l’artista che è riuscito nell’impresa impossibile di ridare vita a una tradizione in via di scomparsa. Intanto il 2020 sarà l’anno del ritorno del Tanztheater di Wuppertal. Per rinnovare quel lontano incontro. Auguri.