L’onda verde e la cultura ecologista si fa sempre più pratica di governo e sinonimo di Nuova Europa, in Italia noi ecologisti, rimaniamo a bocca aperta sul bagnasciuga. Non abbiamo il coraggio, non dico di surfare su quell’onda, ma nemmeno di mettere i piedi a bagno consapevoli come siamo che forse non sappiamo nuotare; eppure bisogna provarci.

Finora noi ambientalisti siamo stati ospiti di altre culture politiche che ogni volta ci mettevano nella lista delle cose “importanti” del programma senza mai riconoscerci un’autonomia di pensiero politico a tutto tondo. Noi non ci occupiamo di ambiente per tutelare la natura (per quello ci sono le associazioni e gli enti preposti), noi ci occupiamo di ambiente perché pensiamo sia una chiave strategica per fare politica economica e sociale. Per costruire una società più giusta per tutti e colmare le disuguaglianze. E crediamo che la chiave ecologica sia in grado in maniera autonoma di proporre una ricetta di governo sia localmente sia globalmente. E la chiave ecologica potrebbe essere linfa vitale anche per la sinistra così in crisi ruolo ed identità nel nostro Paese. Basti pensare alle sindache di Barcellona e di Madrid – Ada Colau e Manuela Carmena – che hanno deciso di puntare alla totale autonomia energetica delle proprie città da ottenere incrementando il risparmio e l’efficienza energetica. La decisione di Madrid è di cambiare il contratto di fornitura di elettricità per 1300 siti del comune: il nuovo contratto prevede che per questi siti si comprerà solo elettricità prodotta con fonti rinnovabili. Ancora più interessante la decisione di Barcellona: la giunta di Ada Colau ha deciso di dar vita ad una azienda pubblica che si chiama “Barcellona Energia” che compra e commercializza solo energia rinnovabile e che fornirà a 3908 luoghi pubblici energia pulita: l’obiettivo è staccare la città di Barcellona dall’oligopolio e per questo l’azienda ha già deciso di comprare e commercializzare tutta l’energia (che non viene utilizzata per il proprio fabbisogno) prodotta dai pannelli solari installati dai cittadini.

Ecco un bell’esempio di come le politiche ambientali possono diventare politiche sociali, genuinamente rivoluzionarie nel mettere in discussione i poteri e la tradizionale gestione dei beni comuni. Per questo noi ambientalisti dovremmo avere il coraggio di fare un passo avanti proponendo chiavi innovative nella gestione delle risorse naturali, dei territori, affermando il potere innovativo della nostra visione. Nuova economia, nuova partecipazione, nuova democrazia. I cittadini non più utenti/consumatori ma protagonisti consapevoli, produttori dal basso, capaci di orientare il mercato. In questi anni invece siamo stati una vocale in una sigla, un colore di una lettera in un simbolo, le foglioline attaccate in extremis, un loghino sempre più piccolo in una subcoalizione, una stellina tra cinque. Ora anche basta. Sono le altre culture politiche che devono inseguire i nostri temi e capire che la lotta al mutamento climatico parla più di lotta alle disuguaglianze, di nuovi posti di lavoro, di sicurezza dei cittadini, di diritto alla salute, di qualità dei territori, di politiche industriali di tutte le teorie oggi esistenti.

È una cultura, quella ecologista, che guarda necessariamente al futuro e mette insieme territorio, quello delle comunità, e dimensione globale, quella della migrazioni, della geopolitica, del pacifismo. Ma come spiegare ai dirigenti della sinistra nostrana – tutti maschi e tutti convinti – che occuparsi della salute delle api vuol dire parlare di agricoltura, di innovazione industriale, di identità comunitaria, di economia locale e di sicurezza per le persone? Fino a quando non avremo coraggio di mettere fine al nostro vagare in cerca di asilo e non avremmo la forza di affermare lo spessore e la forza della nostra proposta, noi ecologisti rimarremo apolidi e l’onda verde europea si infrangerà sull’arretratezza politica del nostro Paese.

*parlamentare Leu