Che indicibile pena, suscita il film che ci arriva in questi giorni dall’India, per tutti noi che ci abbiamo trascorso un periodo più o meno lungo. Un film che ci arriva per frammenti dalle finestrelle-social degli amici, nel rimbalzo dei post e degli appelli, con lo scroll delle vignette e dei disegni non meno toccanti dei filmati, come nel caso di queste illustrazioni di una certa Labani Jangi, ricercatrice, scrittrice e attivista di Kolkata, molto condivisa su Facebook.

La fiumana di corpi in pericoloso assembramento alle stazioni. Camion e bus che partono lasciando a terra folle di disperati. La processione dei camminanti lungo le strade, e tra essi molte famigliole, un bimbo in braccio, un altro che trotterella dietro, il fagotto in bilico sulla testa di lei – per viaggi di ritorno che dureranno giorni, con l’incognita del mangiare e dormire, i numeri di Sos scambiati su WhatsApp, gli appelli sui social per i casi più disperati.
Un esodo che è stato comparato a quello che 75 anni fa seguì all’annuncio della partizione tra il neo-nato Pakistan e l’odierna India. E viaggi che in ogni caso finiranno nel no future da cui sono partiti: nella miseria di casupole, campagne, nuclei d’origine che dipendevano dalle rimesse racimolate dai mariti, fratelli e figli migrati in città, e che ora dovrebbero persino accogliere, sfamare, riaccasare.

Contagio incontenibile
Indicibile pena non solo per ciò che queste sequenze già mostrano, ma per ciò che sicuramente accadrà, per il contagio che seguirà. Contagio sicuramente in corso già da tempo; ma chissà quanto incontenibile d’ora in poi, considerata la magnitudine di questi assembramenti.

Tra le clip più penose, quella che grida particolare vendetta documenta la sanificazione del gregge umano appena arrivato in quel di Bareilly in Punjab: dopo una marcia di centinaia di chilometri, eccoli a terra, stremati, inermi, mentre un paio di addetti in tuta protettiva li innaffia di disinfettante direttamente con la pompa, ettolitri di chimica che dovrebbe fugare ogni germe ma intanto li avvelena. Non meno brutali i candelotti del Gujurath, per frenare l’esodo di quanti a tutti costi vorrebbero fuggire.

Tra i selfie più rasserenanti, quelli che ci arrivano da un villaggio in West Bengala, dove il problema della quarantena è stato risolto con piattaforme tra i rami più alti degli alberi, visto che le casupole condivise tra più famiglie, nella promiscuità dei cortili e degli interni, non permettono altro. Ed ecco un’India che riscopre Madre Natura, con i viveri (o più prosaici ‘bisogni’) che vanno e vengono nel saliscendi dei canestri. E poi ci sarebbe da dire delle forze dell’ordine in azione, spesso a colpi di manganello o micidiale canna di bambù, per convincere i più renitenti a stare a casa.

Tra le tante foto-notizie, la più gustosa ritrae un agente di Chennai che indossa un elmetto somigliante proprio al Coronavirus, con quelle infiorescenze terminali diventate globalmente familiari. L’idea è venuta al giovane street-artist B. Gawtham, che si è messo all’opera con colla e cartapesta e ha reso happening un’esigenza di Salute Pubblica. E già si registrano altri episodi similmente creativi, con poliziotti protagonisti di persuasivi street-theatre – molto meglio del manganello.

Impossibile Lockdown
Ma le dimensioni dell’emergenza sono tali, che persino il Supremo, l’Amico del Popolo (il Primo Ministro Narendra Modi) si è sentito in dovere di scusarsi. Con voce accorata la sera del 28 marzo si è rivolto per radio alla nazione chiedendo (incredibile a dirsi!) perdono per la troppo improvvisa dichiarazione di lockdown il 23 marzo scorso. La ‘prova generale’ era andata in scena, con indubbio successo, solo il giorno prima: chiusura totale dall’alba al tramonto con concertino finale di padelle e campanelli per il corale Grazie a medici e infermieri impegnati nel prima linea della lotta al virus. E in meno di 48 ore ecco che un sub-continente tra i più densamente popolati del pianeta, e con una popolazione che ormai supera il miliardo e 300 milioni di abitanti, avrebbe dovuto adottare il confinamento come unica soluzione di sopravvivenza, per sé e per tutti.

Scommessa impossibile, che non ha tenuto conto dell’abissale disuguaglianza delle condizioni di sopravvivenza, per la stragrande maggioranza di popolazione che di fatto ha retto per gli ultimi decenni le luminose sorti di Shining India – peraltro in flessione negli ultimi tempi – solo perché si accontenta delle briciole. Ed ecco spiegata (come già hanno spiegato e continueranno a spiegare nei prossimi giorni i corrispondenti de Il manifesto) la subitanea fuga da città che, svuotate dei normali flussi, sono diventate trappole per topi. Unica via d’uscita: la fuga, sfidando anche il contagio.

Adesso anche l’Amico del Popolo Modi-ji è nella bufera. Lo accusano di irresponsabilità, di aver ignorato i rapporti che arrivavano dalla Cina già dal 7 gennaio, oltre alle ripetute raccomandazioni dell’OMS nelle settimane successive.

Pellegrinaggi
Strutture ospedaliere, numero di letti, apparecchiature sanitarie: con una spesa per la sanità che supera di poco l’1% del PIL, l’India è totalmente impreparata ad affrontare il cataclisma che verrà. E invece si è perso tempo a discettare sull’efficacia antivirale dell’urina di vacca e dei decotti di neem, la pianta sacra. Speriamo solo che la caccia all’untore (inevitabile in ogni pandemia che improvvisamente richieda misure draconiane di contenimento) non debba nuovamente fomentare il bagno di sangue contro le minoranze. Ma già da qualche giorno i media registrano il risentimento degli opposti fanatismi, per via di un certo numero di raduni religiosi e pellegrinaggi successi in questi ultimi tempi, che sarebbe stato prudente evitare. E insomma: il peggio deve ancora venire. E preghiamo il cielo, anzi l’intero Pantheon delle divinità indiane, che a colpire sia soltanto il Coronavirus, senza altre ferocie e complicazioni.
In generale, varrà purtroppo (credo) il commento di un caro amico, impegnato da anni in India su parecchi difficili fronti: «Sarà un monito, una battuta d’arresto, un’indubbia angoscia per gli abbienti… Per i poveri sarà la solita ecatombe, per le solite ragioni.»