«Berta Caceres vive». Rabbia e commozione ai funerali dell’ambientalista indigena, uccisa in Honduras mercoledì notte. Due sicari sono entrati nella sua casa di La Esperanza, nella parte est del paese. Lei ha cercato di resistere, ma gli assassini le hanno prima fratturato un braccio e una gamba e poi – ha raccontato il fratello – l’hanno ammazzata con 8 colpi di pistola. Un poliziotto di guardia alla casa è stato fermato. Si è invece salvato fingendosi morto il leader ambientalista messicano, Gustavo Castro Soto, che si trovava nell’abitazione con Berta e che è stato ferito da tre proiettili. In questi giorni, ha cercato di rientrare in Messico, ma è stato fermato alla frontiera dalla polizia honduregna e ora si teme per la sua vita.

Un delitto annunciato, quello di Berta. Come aveva detto anche in un’intervista al manifesto, era stata più volte minacciata, insieme ad altri militanti del Copinh e alle persone a lei più vicine. Un crimine di stato, ha denunciato la famiglia leggendo una lettera davanti al feretro «della nostra Bertha, nostra mamma, nostra figlia, nostra guida». Tra slogan e lacrime, migliaia di persone hanno rinnovato la promessa: la lotta di Berta «contro il patriarcato, contro il capitalismo e contro il razzismo», continuerà. E oggi, per l’8 marzo, nel Latinoamerica che scommette sul socialismo del XXI secolo, il suo coraggio rinnoverà l’impegno di molte donne.

Berta, insignita del massimo riconoscimento mondiale per l’ambientalismo, il premio Goldman, era molto attiva nei movimenti dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America, ideata da Cuba e Venezuela. E i governi cubano e venezuelano sono stati fra i primi a esprimersi dopo l’assassinio, ricordandola durante le commemorazioni per il terzo anniversario dalla scomparsa di Hugo Chavez, il 5 marzo, a cui hanno partecipato diversi capi di stato.

«Riteniamo responsabile lo Stato honduregno per aver ostacolato la protezione della nostra Berta, e averne favorito la persecuzione, la criminalizzazione e l’assassinio», ha detto la famiglia. I responsabili dell’omicidio «sono i gruppi imprenditoriali in combutta con il governo nazionale, i governi municipali e le istituzioni repressive dello Stato, che coprono i nefasti progetti estrattivisti nella regione». Per questo – ha denunciato ancora la famiglia – «anche i finanziatori sono responsabili della scomparsa della nostra Berta e delle tante persone che lottano contro lo sfruttamento dei territori, poiché con il loro denaro rendono possibile l’imposizione degli interessi economici sui diritti ancestrali dei popoli».

Il nome di Berta Caceres è legato alla difesa del popolo Lenka a cui appartiene, e a quella degli altri nativi che si battono contro la devastazione dei territori ancestrali ad opera delle grandi multinazionali. Un’invasione senza controllo da parte di uno stato prono ai voleri di Washington, che ha stroncato sul nascere i primi sussulti di indipendenza con il colpo di stato del 2009 contro Manuel Zelaya. Allora, ben pochi, in occidente, hanno protestato per la rimozione del pur moderato Zelaya, colpevole di aver voluto volgere lo sguardo alle alleanze solidali sud-sud inaugurate dall’Alba.

A favore dei golpisti si schierò anche il potente cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, un salesiano presidente della Caritas internazionale, allora in corsa per la poltrona papale, e ancora oggi incluso fra i consulenti dell’Enciclica sull’ambiente di Bergoglio, Laudato si’. Bergoglio ha ricevuto Berta in Vaticano e il Copinh ha partecipato agli incontri organizzati dal papa con le organizzazioni popolari. E ora anche i movimenti cattolici chiedono giustizia.

In Honduras vi sono però giganteschi interessi economici e militari, come testimonia l’esistenza della più grande base militare Usa del continente, quella di Palmarola. La battaglia che stava portando avanti l’ambientalista era quella contro l’istallazione del progetto idroelettrico Agua Zarca, sul fiume Guarcarque, sacro per il popolo Lenka. Ha detto ancora la famiglia: «Riteniamo responsabile l’impresa Desa e gli organismi finanziari internazionali che sostengono il progetto, Banca Holandes Fmo, Finn Fund, Bcie, Ficohsa, e le imprese coinvolte Castor, Grupo imprenditoriale Atala». Per far luce sul crimine, la famiglia ha chiesto l’intervento di organismi internazionali per i diritti umani e l’interruzione della concessione alla Desa. E il Copinh ha denunciato la manipolazione dell’inchiesta da parte dello stato, che sta cercando di far passare il crimine come delitto passionale.