Era l’osservato speciale della regione e da ieri è tecnicamente in recessione. Per il Giappone di Shinzo Abe inizia un periodo di ripensamento delle colonne portanti dell’ «Abenomics», salutata come ricetta economica che avrebbe consentito al Paese di svoltare, e che ora invece si ritrova in grave difficoltà. I numeri dicono che il Giappone è in recessione, i consumi non crescono, l’economia, di nuovo, rallenta. Nel trimestre luglio-settembre, il Pil ha registrato un calo su base congiunturale dello 0,4% e dell’1,6% su base annualizzata. Ovvero, i consumi privati, che rappresentano circa il 60 per cento dell’economia, sono aumentati poco, esattamente la metà di quanto previsto; si tratta di un dato che dimostra come l’aumento delle tasse indirette dell’aprile scorso dal 5% all’8% per cento, ha avuto un più forte e più persistente impatto sulla spesa di quanto non fosse stato previsto dai suoi ideatori. Il dato negativo relativo al terzo trimestre dell’anno certifica la recessione tecnica, perché si tratta del secondo trimestre consecutivo negativo.
La notizia ha colto tutto il mondo economico (e probabilmente lo stesso primo ministro) di sorpresa, poiché le previsioni degli analisti prevedevano una crescita congiunturale dello 0,2-0,3%. E la Borsa di Tokyo è crollata, chiudendo con un -3%.

Nei giorni scorsi, però, alcuni funzionari dell’amministrazione Abe avevano già fatto trapelare la possibilità di elezioni anticipate della Camera bassa, al 14 dicembre, come segnale circa assetti politici da modificare, in conseguenza di dati economici poco rassicuranti. Non a caso, quindi, oggi Abe parlerà e dovrebbe annunciare, tanto le elezioni anticipate, quanto il blocco di quell’ulteriore rialzo al 10% dell’Iva, previsto a partire dal prossimo mese di aprile. Ora invece è procrastinato a data da destinarsi: tutti gli economisti nazionali hanno consigliato il suo congelamento. In pratica in Giappone è successo questo: le iniezioni di soldi consentite dallo Stato non hanno provocato l’aumento dei consumi, sui quali ha pesato la tassa indiretta dell’Iva, decisa per limitare il mostruoso debito pubblico giapponese.

La soluzione non ha funzionato. Politicamente Abe rischia poco: il suo partito Liberaldemocratico non ha rivali – l’opposizione è frammentata e divisa – ed è previsto possa riottenere una maggioranza importante alla Camera bassa a dicembre, ma per il primo ministro giapponese il momento è piuttosto delicato. «Prenderò una decisione in modo appropriato e tranquillo», ha assicurato il premier in merito alla questione dell’Iva, mentre si aspetta anche la definizione di un budget supplementare di circa 3.000 miliardi di yen (quasi 21 miliardi di euro) per rilanciare l’economia (botte di liquidità che seguono quelli ormai storici del 2013: 13 mila miliardi di yen (circa 130 miliardi di euro) cui si aggiunse un ulteriore pacchetto da 10 mila miliardi).

Per il premier Shinzo Abe inizia un tour de force interno, dopo quella che secondo analisti internazionali è stata «l’umiliazione» patita a Pechino al vertice Apec, da parte di Xi Jinping (come sostiene Aurelia George Mulgan su The Diplomat). In quell’incontro, ormai famoso per il suo clima glaciale, Abe avrebbe in realtà subìto la presenza scenica di Xi e della Cina, tanto che alcuni hanno ricordato come la sua visione ottimistica delle relazioni sino-giapponesi, descritta nel suo libro Utsukushii Kuni («Di fronte ad un bel paese») sia entrata definitivamente in crisi: il concetto di seikei bunri, «separare la politica dall’economia», sembra non funzionare più con il vicino cinese, specie in un momento di grande debolezza dell’economia nazionale e della potenza del protettore americano.