Da dieci giorni a Roma sei persone tra i quali due minorenni e una ragazza disabile al cento per cento dormono in macchina, mangiano in macchina, si lavano dove possono. Gli adulti a turno rimangono svegli a vegliare sul sonno degli altri, per il terrore che qualcuno possa ancora far loro del male. Cambiano posto ogni sera, e per una sola notte si sono spinti fin sotto la sede dell’assessorato comunale al Patrimonio per sollecitare l’assegnazione di un altro alloggio popolare, distante da quel quartiere della periferia nord ovest romana dove il 25 luglio scorso è avvenuto l’impensabile. È la famiglia di Hasib Omerovic, volato giù per nove metri dalla finestra mentre in casa si erano introdotti senza permesso almeno quattro agenti di polizia tra cui una donna. Il 37enne rom, disabile, da quel giorno giace tracheostomizzato e in coma (ora indotto) in una stanza dell’ospedale Gemelli.

IERI, DOPO TANTI GIORNI di attesa (la richiesta è stata depositata l’11 agosto), sembrava arrivata la bella notizia: «L’istruttoria si è conclusa positivamente, la famiglia Omerovic/Sejdovic avrà a breve una nuova casa», aveva annunciato l’assessore capitolino al Patrimonio e alle Politiche abitative Tobia Zevi. In realtà quel «a breve» si è subito rilevato un tempo eternamente lungo per una famiglia che non può più vivere a Primavalle («Ci sono alcuni particolari della vicenda che non possono essere rivelati per il momento», spiega Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio che li supporta), né mandare i bambini a scuola (Erika, 16 anni, avrebbe dovuto cominciare quest’anno l’istituto professionale, mentre suo fratello A. di 9 anni avrebbe dovuto frequentare la quarta elementare). Una famiglia che ha perso lavoro, sonno e serenità. La prima convocazione per l’assegnazione della nuova abitazione era stata infatti fissata per il 29 settembre, anticipata poi – dopo la protesta dell’Associazione 21 luglio, che insieme alla famiglia Omerovic ha presidiato ieri piazza del Campidoglio – al 26 settembre. La disponibilità dell’appartamento non sarà immediato neppure se quello stesso giorno gli uffici comunali di Roma riuscissero ad individuare la collocazione giusta per loro.

E NEL FRATTEMPO? Fatima, la madre, occhi segnati dalla fatica e dal dolore, Erika che racconta dei suoi attacchi di panico e Patrizia Allaria, l’amministratrice di sostegno di Sonita (l’altra figlia disabile e unica testimone di quanto accadde quel giorno nell’appartamento di Primavalle), ieri in Piazza del Campidoglio raccontavano l’impossibilità di vivere di nuovo da profughi, questa volta non per una guerra in Bosnia (dalla quale Fatima e suo marito Mehmedalija con quattro figli scapparono nel 1992), ma in Italia. «Nella mia Italia», sottolinea Erika che è nata a Roma e che aspetta solo tra due anni di poter chiedere la cittadinanza.

MARTEDÌ I GENITORI di Hasib sono stati ascoltati dal pm Stefano Luciani che indaga per tentato omicidio in concorso e falso e vaglia la posizione di otto poliziotti (pochi giorni fa i vertici del commissariato Primavalle sono stati comunque sostituiti). «Fatima è rimasta a colloquio con la procura per due ore e mezza, Mehmedalija per cinque ore – riferisce Carlo Stasolla – ma erano in condizioni pietose, avevano dormito poco, in auto, e non avevano potuto lavarsi adeguatamente, erano stremati».

«MIO FIGLIO PIÙ PICCOLO vuole tornare a scuola, lo chiede tutti i giorni, ma ha paura – racconta Fatima – lui ed Erika hanno attacchi di panico, avrebbero bisogno di un aiuto psicologico, ne avremmo bisogno tutti, ma non è facile perché non possiamo rivolgerci ai servizi del quartiere». E Hasib? «Lui, ci hanno detto i medici, potrebbe rimanere in ospedale ancora per uno, due anni, e molto probabilmente porterà danni permanenti», aggiunge la signora e gli occhi le si riempiono di lacrime.

A SERA, dopo ore di confronto tra l’assessore Zevi e la presidente della Commissione Politiche sociali, Nella Converti (grande assente l’assessora alle Politiche sociali Barbara Funari, vicina alla comunità Sant’Egidio), il Campidoglio ha trovato, come recita una nota, «una soluzione abitativa temporanea per la famiglia Omerovic, in attesa del cambio di alloggio definitivo, così come richiesto dalla famiglia, in modo da poter valutare la miglior soluzione alloggiativa che rispetti le esigenze future – ancora sconosciute – di Hasib». Per ora sono al sicuro. Dormiranno in un alloggio vero. «Vorrei dimenticare tutto, vorrei ricominciare a lavorare con mio marito come venditrice ambulante, vorrei vedere Erika diventare un’estetista, come lei desidera, Hasib tornare quello di prima e mio figlio piccolo tornare a scuola e a giocare – dice Fatima – Ma ora tutti noi vogliamo intanto sapere la verità. La verità e la giustizia per Hasib».