Alfredo D’Attorre, la conferenza sul lavoro è l’ennesimo incontro Ue che si conclude senza impegni concreti. E il semestre italiano sta per finire.

Il problema vero è il fallimento della presidenza italiana, che rappresentava un’opportunità unica e forse irripetibile per porre l’esigenza di una svolta in Europa. Lo dico con preoccupazione e senza compiacimento. Il 25 maggio Renzi è uscito dalle urne come l’unico leader vincente della sinistra europea. Una legittimazione che nessun governo italiano aveva mai avuto. Un contrappeso alla Merkel. Ma lì si è consumato l’errore fatale.

Cos’ha sbagliato Renzi?

Non ha posto con l’autorevolezza di quel risultato il tema di un cambio delle regole alla base dell’euro. Anziché porre in termini generici le questioni della flessibilità e della crescita, doveva dire chiaro che con queste regole l’unione monetaria è destinata a saltare.

Comunque l’Europa ci ha concesso poco. Ora dovremo rispettare il fiscal compact?

In una situazione di recessione e deflazione il fiscal compact è tecnicamente inapplicabile. Arrivando al deficit al 2,9, Renzi ha ottenuto qualcosa che ci sarebbe stato comunque dato. Il suo errore capitale è stato non porre la Germania e tutta l’Europa di fronte al bivio che è davanti a noi: o un radicale cambiamento della governance, oppure la dissoluzione dell’unione monetaria.

Ma non è la linea di Renzi. E la sua parte è sospettata di scissionismo. Sta facendo una chiamata a sinistra?

È una chiamata al Pd, ma credo che intorno all’insostenibilità dell’euro si possa riaprire il confronto a sinistra, costruire una piattaforma che può unire forze collocate in partiti diversi. L’euro, nel suo assetto attuale, è insostenibile anche dal punto di vista democratico, perché espropria i cittadini di due aspetti fondamentali della sovranità democratica, il controllo sul bilancio e sulla moneta. Se non daremo noi una risposta il rischio è che lo faccia la destra. Rischiamo di avere un ciclo lungo in Europa in cui la sinistra, prigioniera dell’ortodossia eurista, viene spazzata via e perde qualsiasi contatto con i ceti popolari.

E adesso Renzi cosa dovrebbe fare?

Renzi ha sprecato la grande occasione si è messo sulla strada una flessibilità contrattata, con la promessa delle famose riforme strutturali, cioè basate su tagli di spesa e riduzione dei salari. A un certo punto si è reso conto che era impossibile tagliare la spesa pubblica senza fare macelleria sociale, cosa che alcuni di noi dicevano da mesi. Ora rischiamo di avere una legge di stabilità di galleggiamento, che lascerà il paese nella stagnazione. Con la disoccupazione che, stando a quanto scritto sul Def, non avrà cali significativi, un impatto delle famose riforme che lo stesso Def calcola come residuale. E senza un’idea su come tirare fuori il paese da questa situazione. In più ora si aggiunge una riforma del mercato del lavoro del tutto indeterminata. Ma se dovessero diventare norme le intenzioni dichiarate del presidente del consiglio, potrebbe tradursi in un’ulteriore precarizzazione del lavoro e compressione dei salari.

Una riforma che la sua area ha votato con il voto di fiducia.

Dovendo scegliere fra Renzi e la Troika sarebbe da irresponsabili far saltare il governo. Detto questo, il nostro voto al senato non è un sì alla delega in bianco ma alla fiducia. Il confronto riparte d’accapo alla camera. Tanto più che nella delega il governo non è riuscito neppure a recepire le decisioni assunte a maggioranza nella direzione Pd. Siamo al paradosso: si chiede disciplina alla minoranza da parte di una maggioranza che non riesce neppure a esercitare le sue decisioni.

Renzi potrebbe mettere la fiducia anche alla camera. E voi rivotereste sì.

Alla camera avremo i numeri e i tempi per discutere. Questo ricatto non sarà riproposto, sarebbe inaccettabile.

Perché Renzi voleva mostrare lo ‘scalpo’ dell’art.18 all’Europa?

Il conflitto con la sinistra e i sindacati gli serve per dire alla Germania e alla Commissione che affronta uno scontro vero per fare le riforme. E credo che si fosse impegnato con Merkel e Draghi.

Quanto peserà sulla vostra battaglia parlamentare la riuscita dell corteo della Cgil?

Non è l’unico elemento, e c’è una sfida di rinnovamento che riguarda la Cgil. Ma Renzi sbaglia i toni e gli argomenti con i quali si rivolge alla Cgil per lucrare qualche punto di popolarità. Certo, quella manifestazione non avrà i tre milioni del 2002, vedremo come andrà. Leggeremo la piattaforma, ma credo che avrà una larga adesione almeno nell’area della minoranza Pd.