Sono gli ultimi e gli esclusi i protagonisti del nuovo film di James Franco, In Dubious Battle (in Italia sottotitolato proprio Il coraggio degli ultimi), presentato l’anno scorso al Festival di Venezia nella neonata nella sezione Cinema in giardino e che uscirà nelle sale italiane il prossimo 7 settembre. Tratto dal romanzo omonimo del 1936 di John Steinbeck, In Dubious Battle è un film corale perché incentrato sul grande sforzo collettivo dello sciopero: quello di un immaginario gruppo di raccoglitori di mele nella California della Grande Depressione.

I lavoratori stagionali, giunti nei campi di mele spendendo tutti i loro risparmi, si ritrovano di fronte il padrone – Bolton, interpretato da Robert Duvall – che spiega di non poter pagare la cifra pattuita di tre dollari al giorno: se vogliono lavorare dovranno accontentarsi di uno solo .
Tra i raccoglitori, però, ci sono anche degli «infiltrati» appartenenti alla sinistra radicale dell’Industrial Workers of the World – il loro capo Mac è interpretato dallo stesso regista – il cui scopo è proprio scatenare lo sciopero e farne un esempio per l’intero paese.

James Franco ha fatto un dottorato di ricerca in letteratura americana, e questa sua trasposizione del romanzo di Steinbeck aggiunge un nuovo tassello al suo lavoro cinematografico sulla letteratura statunitense : ha diretto due adattamenti di Faulkner – Mentre morivo e L’urlo e il furore Child of God di Cormac McCarthy, un biopic su Charles Bukowski e un film tratto da The Long Home di William Gay ancora in lavorazione.
La scelta è ricaduta proprio su questo romanzo di Steinbeck, il meno noto della sua trilogia sulla Dustbowl, «Perché ha un respiro molto ampio, mette in campo un conflitto – quello tra lavoratori e proprietari terrieri – che attraversa tutta la vicenda, a cui la trasposizione sul grande schermo poteva aggiungere qualcosa e che allo stesso tempo mi consentiva di raccontare le storie delle persone coinvolte», aveva spiegato James Franco in occasione della presentazione del film.

All’epoca in cui l’aveva scritto infatti Steinbeck non era stato ancora testimone in prima persona delle terribili condizioni in cui vivevano i lavoratori, e si era concentrato maggiormente sulla psicologia dei protagonisti per dare un «quadro complessivo delle ragioni di tutte le parti coinvolte» – inclusi i padroni e comprese le piccolezze umane (alquanto stereotipate) degli stessi sindacalisti, machiavellici manipolatori mossi anche da un desiderio di gloria nel martirio, da una malcelata vanità a cui presta le sue fattezze e i suoi sorrisi sornioni il regista e attore nei panni di Mac.

Come filmmaker al lavoro oggi su quel materiale, James Franco aveva detto di essersi ovviamente sentito più coinvolto dalle ragioni degli sfruttati: il suo film si concentra quasi interamente su di loro, parlando così anche all’America di oggi, alla sua working class «sempre più abbandonata a se stessa» e separata dai padroni di oggi da un divario sempre più incolmabile.
Sulla storia e sullo scritto di Steinbeck James Franco interviene però con molta cautela e rispetto, rinunciando a problematizzare il testo e a renderlo più attuale e personale come aveva invece fatto con Child of God di Cormac McCarthy, su cui era impressa la sua personale visione del protagonista – un serial killer figlio di un mondo altrettanto disumano – a suo modo anche lui un underdog, uno di quei reietti lasciati indietro dalla Storia, al quale a differenza dell’autore del romanzo Franco offriva una «seconda possibilità».
Preferendo invece sovrapporre la sua visione a quella ancora pre-politicizzata dello Steinbeck dei tempi di In Dubious Battle, il regista e attore realizza un buon compendio visivo di un classico letterario, ma rinuncia a dire la sua su un conflitto e un vuoto di giustizia quanto mai attuali.